I. Straniero

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Quando la campanella suonò, all'improvviso, fendendo l'aria con il suo suono acuto, Annabeth Chase quasi si prese un colpo.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che quasi non si era resa conto di essere ancora a scuola.
Eppure era fatta, realizzò mentre tutte le sue compagne di classe si alzavano e uscivano dall'aula, aveva finito l'ultimo anno delle superiori.
Quell'autunno sarebbe andata al college di nuova Roma con Percy Jackson, il suo ragazzo.
"Annabeth, vieni?" la sua amica Emma la richiamò.
Annabeth annuì, mentre si alzava e prendeva la sua borsa.
Lanciò un ultimo sguardo all'aula, pensando che era l'ultima volta in cui l'avrebbe vista.
Sorrise e seguì l'amica verso l'uscita.
"Dove andrai quest'estate?" le chiese Emma.
"Un po' qui e un po' a San Fracisco, vado a trovare la mia famiglia" rispose.
In realtà sarebbe andata in California anche per rivedere i suoi amici del Campo Giove e per organizzare il college.
E poi ovviamente sarebbe andata al Campo Mezzosangue, anche se non per tutta l'estate.
Sarebbe stato strano, a dire il vero, eppure aveva voglia di una nuova avventura —possibilmente senza dei impazziti, titani che decidevano di tornare al potere o divinità primordiali che volevano distruggere il mondo.
Ma dopotutto era una semidea, perciò in qualche modo i mostri avrebbero sempre fatto parte della sua vita.
"Tu?" le chiese di rimando.
Emma sospirò.
"Maldive" rispose "come ogni anno. Non capisco perché i miei genitori non scelgano un altro posto"
"E ti lamenti?"
Annabeth le diede una spintarella.
L'altra alzò le mani in segno di resa, piazzandosi davanti alla semidea.
"Ehi ma cos'è il Campo Mezzosangue?" chiese, notando la scritta sulla maglietta arancione di Annabeth.
Casa mia, avrebbe voluto dire.
"Un campo estivo" ripose invece.
L'espressione di Emma si fece maliziosa.
"Dove hai conosciuto Percy?"
Annabeth aggrottò la fronte.
Emma era sua amica, però non le aveva mai parlato di Percy: nonostante tutto, era sempre una persona riservata.
Faceva fatica a fidarsi delle persone, anche di quelle che condividevano il dormitorio con lei.
"Parli nel sonno" spiegò l'altra "a volte ti sento che nel cuore della notte mormori il suo nome e gli chiedi dove sia. È il tuo fidanzato?"
Annabeth impallidì.
Da quando erano caduti nel Tartaro, ogni notte faceva lo stesso sogno: si rivedeva nell'abisso con le arai, gli spiriti delle maledizioni, cieca e sola.
Emma le mise una mano sulla spalla, preoccupata.
"Domanda sbagliata?" fece "Vi siete lasciati?"
La figlia di Atena scosse la testa.
"Oh no, certo che no" ripose, facendo un sorriso tirato "ero solo sorpresa che conoscessi il suo nome, tutto qui"
Il volto di Emma si aprì in un sorriso.
"E me lo farai mai conoscere?"
"A dire il vero è proprio fuori da scuola"
"È venuto a prenderti? Oh che carino. Perché nessuno dei ragazzi che ho avuto io è mai stato così carino?"
Annabeth rise, mentre uscivano dalle enormi porte di ingresso blu scuro.
Con gli occhi grigi scrutò la folla di studenti che si riversavano fuori dal cancello oltre il cortile, alla ricerca della Prius di Percy.
Quando lo vide, a quanto pare anche lui alla sua ricerca, si sorrisero e per un istante nulla esisteva più.
Erano solo loro due, come lo erano stati altre milioni di volte, ma quella volta era diverso: erano consapevoli di ciò che provavano.
Perfino di quanto il loro amore fosse disposto a fare, per stare insieme.
"Ci vediamo al diploma" fece ad Emma, abbracciandola.
"Aspetta" disse lei, confusa "vuoi dirmi che lui è il tuo ragazzo? È così... così..."
E la lasciò lì a cercare la parola giusta, mentre lei scendeva i gradini oltrepassando alcuni studenti intenti a salutarsi.
"Sei stato puntuale" gli disse, una volta giunta davanti a lui.
Percy inarcò un sopracciglio.
"Io sono sempre puntuale, Sapientona" replicò.
Annabeth gli mise le braccia intorno al collo.
"No, Testa d'Alghe" gli sorrise "non è vero"
Poi si sporse in avanti e lo baciò.
Fu felice di sentirsi scorrere i suoi capelli scuri tra le dita, dove alla base della nuca si arricciavano morbidamente.
"Devo esserti mancato proprio tanto" le fece notare, con una punta di orgoglio.
Era vero, ma non lo avrebbe mai ammesso.
"Qualcuno si ritiene tanto importante mh?"
"Tu dovresti ritenerti importante" le diede un bacio veloce "perché a me sei mancata tanto"
Il cuore di Annabeth si esibì in un numero di ginnastica artistica da maestro nel suo petto.
"Allora" proseguì Percy "pronta per il cinema?"
Lei sorrise.
"Lo aspetto da tutta la mattina"
Il figlio di Poseidone si girò e prese a frugare nel cruscotto della macchina, alla ricerca di qualcosa.
Poi imprecò in greco antico.
"Ho dimenticato i biglietti a casa" annunciò.
Annabeth rise.
"Chissà perché non sono sorpresa"
Percy le fece la linguaccia.
Poi le aprì la portiera della macchina — cosa che di sicuro sua madre gli aveva detto di fare — e lei entrò.
Lui si sedette al posto del guidatore e accese la macchina.
"Faccio un salto su, prendo i biglietti e sono subito da te"
"Sembra un bel piano"
Poi Percy aggrottò la fronte.
"Probabilmente perderò qualche minuto perché mia madre mi sgriderà dicendo che se solo non avessi la testa sulle spalle la perderei"
"Io adoro tua mamma"
"Oh e io che mi fidavo di te"
Annabeth gli diede un bacio sulla guancia.
Lui mise in moto e partirono tra le affollate strade di New York, tra i taxi gialli che strombazzavano per passare e i pedoni che correvano come se avessero fretta.
"Jason a che punto è con il suo progetto?" fece Percy, una volta fermi ad un semaforo.
Annabeth si voltò a guardarlo, distogliendo gli occhi dagli alti edifici di Manhattan.
"Qualche settimana fa mi ha mandato un messaggio-Iride e mi ha mostrato il modellino dei templi che vuole costruire al Campo Giove" spiegò "ha delle belle idee ma ha detto che gli servono consigli da un'esperta. In più spera che  io possa sovrintendere le costruzioni una volta trasferita a Nuova Roma"
"Farai un gran lavoro"
Il verde scattò e Percy partì.
"Ogni divinità merita un tempio, l'abbiamo promesso a Cimopolea" continuò "troppe volte gli Olimpi hanno scordato di non essere i soli dei"
Entrambi ricordavano come questo avesse peggiorato la situazione durante la seconda guerra dei Titani: moltissimi dei minori si erano schierati dalla parte di Crono, permettendogli quasi di vincere.
"Temo che gli dei non impareranno mai" fece lei "per questo hanno bisogno di noi, gli eroi: perchè li aiutiamo a ricordare che non esistono solo loro"
Percy annuì.
A volte – fin troppo spesso – pur di ricordare agli dei questa cosa, alcuni eroi perdevano la vita.
Quanti loro amici erano morti nelle guerre degli ultimi due anni?
Annabeth sapeva che il figlio di Poseidone stava pensando la stessa cosa, perciò posò la mano sulla sua, posizionata sul cambio della marcia.
Lo sentì rilassarsi e ne fu contenta.
Con la cosa dell'occhio le parve di vedere lo scintillio di un'armatura che luccica al sole.
"Ma cosa...?" mormorò.
"Che c'è?" fece Percy, lanciandole un'occhiata.
Annabeth scosse la testa.
"Credevo di aver visto... sarò solo stanca. Ieri notte non ho dormito molto"
"Ti manca sentire i tuoi fratelli nella casa sei che russano eh?"
Lei rise.
Svoltarono una strada e si ritrovarono nell'Upper East Side, dove c'era l'appartamento della madre di Percy.
"Torno subito" fece lui, scendendo dalla macchina.
"Dà un bacio ad Estelle da parte mia e saluta tua mamma!" gli gridò dietro.
Percy le fece il segno del pollice in su mentre spariva oltre il portone d'ingresso del condominio.
Annabeth cominciò a picchiettare le dita sulla portiera, in attesa.
Essendo una semidea, era iperattiva e odiava non aver nulla da fare.
Così fece vagare lo sguardo e vide che Percy aveva lasciato il portafoglio aperto sotto il cambio della marcia.
Sorrise quando vide che c'era una foto al suo interno.
Ritraeva loro due e doveva avergliela fatta Piper McLean, l'estate prima: Percy abbracciava Annabeth e le dava un bacio sulla guancia, mentre lei rideva e cercava di respingerlo.
Era stata una delle prime volte in cui era riuscita a ridere, dopo che Leo Valdez si era sacrificato per sconfiggere Gea.
Leo li aveva salvati tutti.
All'improvviso qualcuno bussò al finestrino, facendola sobbalzare.
Annabeth portò istintivamente una mano alla cintura, ma il suo pugnale di bronzo celeste non c'era.
Un ragazzo sulla ventina era fuori dall'auto, con l'aria sconvolta.
Vide che aveva indosso un'armatura ammaccata dall'aria antica.
Annabeth uscì dalla macchina, guardandolo con circospezione.
"Chi sei?" chiese.
Gli occhi castani del ragazzo si illuminarono quando la guardò in viso e si scostò con una mano i riccioli scuri che gli erano ricaduti in fronte.
"Amore mio..." disse, quasi in trance "non avrei mai creduto di poterti vedere di nuovo"
Le si avvicinò e la strinse tra le braccia, in una presa incredibilmente delicata.
"Ehm penso proprio ti stia confondendo" Annabeth si dimenò e riuscì ad allontanarsi.
"Ehi cosa succede qui?" la voce di Percy la raggiunse dal portone d'ingresso.
Aveva una mano in tasca, dove lei sapeva esserci Vortice.
Il misterioso ragazzo non distolse lo sguardo da quello di Annabeth, che era intimorita da esso, anche se non riusciva a capire perché.
"Non mi riconosci?" fece ancora.
"Amico, allontanati da lei" Percy li aveva raggiunti e ora era al fianco di Annabeth.
"Credo proprio che la serata cinema sia cancellata, Percy" fece lei.
"Cinema? Di cosa state parlando?"
Percy sospirò.
"Non dirmelo, tu non sei del ventunesimo secolo vero?" disse "Cos'è, sei greco?"
Annabeth ne dubitava: non era la classica armatura greca, nemmeno la più antica.
Pareva più...
"Sono Paride" disse lo straniero "principe di Troia"
Un pensiero le passò nella mente come un fulmine: Paride era morto e l'unica spiegazione perché fosse vivo era che aveva attraversato le Porte della Morte.
Eppure era passato un anno da quando lei e Percy le avevano chiuse: che diavolo aveva fatto in tutto quel tempo?
"Oh santi numi" borbottò Percy "non si può stare mai tranquilli"
"Dove mi trovo?" continuò Paride "Elena, cosa sta succedendo?"
Guardò Annabeth negli occhi.
Improvvisamente si rese conto che Paride l'aveva scambiata per Elena di Sparta, la donna più bella del mondo antico.
Non sapeva se esserne lusingata o mettersi ad urlare.
"Io non sono Elena" gli spiegò, cercando di essere il più gentile possibile "mi chiamo Annabeth"
"Ed è felicemente fidanzata, anche se da quanto so questo non ti ha mai fermato, vero?" s'intromise Percy, facendosi un po' più vicino a lei.
Annabeth gli lanciò un'occhiata significativa, anche se segretamente le faceva piacere la gelosia del figlio di Poseidone.
"Eppure sei così simile..." continuò Paride, come se non avesse sentito il commento dell'altro.
Dai suoi occhi scuri pareva che non credesse a ciò che Annabeth aveva detto.
"Dobbiamo portarlo al Campo" decise dunque lei "Chirone saprà cosa fare"
Percy si voltò a guardarla.
"Dici?" domandò.
Era altamente improbabile che Chirone, centauro maestro d'eroi, nonostante i numerosi millenni alle spalle fosse mai incappato in una situazione del genere: un'anima uscita dall'Oltretomba, per di più non una qualsiasi ma quella di colui che aveva causato la guerra di Troia.
"Che altre opzioni abbiamo?" replicò Annabeth "Forse il signor D saprà cosa fare"
"Bene"
Percy sospirò, mettendosi i biglietti in tasca con aria rassegnata.
"D'accordo amico, salta in macchina"
Paride aggrottò la fronte, indicando con il braccio la Prius.
"Questa è la macchina?" chiese "Che diavoleria è? Sarebbe una biga moderna?"
"Sì" tagliò corto Annabeth "una biga moderna"
Gli aprì la portiera e lo spinse dietro, mentre lei faceva per sedersi davanti.
"Puoi sederti accanto a me, Ele- Annabeth?" chiese il principe.
Annabeth lo guardò e vide che i suoi occhi castani si facevano più profondi e intensi.
Era bello, non c'era dubbio, ed era sicura che ai suoi tempi avesse fatto girare la testa di moltissime fanciulle.
Eppure c'era qualcosa nel suo sguardo che le faceva pensare all'arroganza.
Come se sapesse che alla fine avrebbe ceduto, perchè lui otteneva sempre quello che voleva.
Percy non aveva mai quella luce negli occhi.
"È un viaggio breve" disse "sono sicura che te la caverai anche senza di me"
Così si sedette di nuovo davanti e vide che Percy faceva di tutto per nascondere un sorrisetto.
Attraverso lo specchietto retrovisore vide che i suoi occhi verdi erano più luminosi rispetto a qualche minuto prima.
Così si rimisero in moto e partirono alla volta del Campo Mezzosanague, sfrecciando tra i grattacieli di Manhattan.
Quando giunsero ai piedi della Collina Mezzosangue, scesero dall'auto.
Il drago Peleo sonnecchiava vicino al Pino di Talia, sbuffando fumo scuro dalle grosse narici, mentre il vello d'oro veniva sospinto dal vento.
"Dove mi avete portato?" domandò Paride "Qui c'è solo una casa che cade a pezzi"
"Sei al Campo Mezzosangue" spiegò Percy "dove i semidei sono al sicuro"
"È questo che siete? Semidei?"
"Sì" rispose Annabeth "e ora conoscerai il nostro insegnante"
"E vi allenate in una casa abbandonata"
"È la Foschia" continuò il figlio di Poseidone "aspetta"
Si girò verso i confini magici del campo.
"Io, Percy Jackson, ti permetto di entrare" annunciò.
Paride sbattè le palpebre e guardò davanti a sè.
"Andiamo" disse Annabeth.
C'erano ancora pochi semidei al Campo, perchè molti sarebbero arrivati l'indomani, perciò fu facile incontrare Chirone che aveva appena concluso una lezione di tiro con l'arco.
"Percy! Annabeth!" esclamò galoppando loro incontro.
Il suo sorriso si spense quando vide chi c'era con loro, gli occhi castani improvvisamente scuri.
"E avete portato ospiti" disse "posso chiedere chi è il vostro amico?"
Annabeth incrociò lo sguardo di quello che era come un padre per lei da molti anni.
Era come se entrambi sapessero già che il nuovo arrivato avrebbe portato solo guai.
"Lui è Paride, principe di Troia"

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