IV. Ancora

365 21 3
                                    


Il mare calmava Percy.
L'aveva sempre fatto, fin da quando era bambino e non riusciva a capire come mai.
Più tardi avrebbe scoperto che suo padre era Poseidone e si sarebbe reso conto che alla fine lo aveva sempre saputo.
Quando era stato riconosciuto durante la sua prima caccia alla bandiera, quando il tridente verde si era creato sopra la sua testa, si era reso conto di aver sempre saputo nel profondo chi fosse davvero suo padre.
In qualche modo sapeva che il sorriso caldo dei suoi ricordi apparteneva a Poseidone.
Il mare lo aiutava a riflettere e il fatto che potesse respirare sott'acqua era fantastico, perché altrimenti sarebbe stato davvero impossibile pensare là sotto.
Quindi Percy ora si trovava seduto sul fondale della baia di Long Island, ad osservare le correnti che si spostavano scorrendo l'una sull'altra.
I pesci gli stavano alla larga, come se percepissero il suo umore nero.
Doveva fare qualcosa per trovare Annabeth e doveva farlo subito.
E se Paride si fosse messo in testa di sposarla o peggio?
Il solo pensiero gli faceva rivoltare lo stomaco.
Sapeva che in qualche modo se la sarebbe cavata, che avrebbe preso tempo in attesa che lui la raggiungesse: Annabeth era la persona più in gamba che avesse mai conosciuto.
Ma aveva paura lo stesso.
Gli tornò in mente quando l'aveva lasciata andare per seguire il marchio di Atena tra i sotterranei di Roma e scacciò subito il pensiero.
Nonostante fosse passato un anno, faceva ancora male.
Sentì nella sua testa le voci di un paio di sardine che passavano accanto a lui e percepì la loro eccitazione.
"Sta arrivando" disse una.
"Ho visto! Troverà la baia di suo gradimento? Avremmo dovuto ripulire quelle alghe sotto il pontile, l'avevo detto alle naiadi ma loro nulla! Quando mai danno ascolto a qualcuno?"
Percy alzò lo sguardo davanti a lui, dove l'oceano si faceva più scuro aumentando di profondità.
E poi Poseidone gli comparve davanti.
"Papà!" esclamò.
Nonostante tutto, era felice di vederlo.
"Ciao Percy" il dio gli sorrise "come stai?"
"Immagino saprai già cos'è successo. Mi sbaglio?"
Poseidone scosse la testa e si sedette accanto a lui, provocando una leggera nuvoletta di sabbia.
"Il piano non è di Paride" disse "gli è stato messo in testa. Abbiamo provato a fermarlo, quando è giunto qui a New York un anno fa. Morfeo lo ha addormentato, ma in qualche modo è riuscito a svegliarsi"
"E ora ha rapito Annabeth" aggiunse Percy, sconsolato "non avrei mai dovuto permettergli di venire al Campo"
Il dio gli mise una mano sulla spalla, come per rassicurarlo.
I suoi occhi verdi erano gentili.
"Non avresti potuto evitare quello che è successo" spiegò "gli eventi si stanno ripetendo e una forza più forte di noi li ha messi in moto. Crediamo che..."
Anche a parecchi metri sotto la superficie dell'acqua, sentirono rimbombare un tuono.
Poseidone sospirò.
"Zeus non vuole che rivanghiamo il passato" sbuffò "mi dispiace, figliolo, non posso dirti altro. Sappi solo che Paride è una specie di archetipo: tutto seguirà il corso degli eventi passati"
"Ci sarà un'altra guerra di Troia? Io chi dovrei essere, Menelao?"
"Nella mente di Paride sì" il dio annuì "gli eventi si stanno ripetendo, ciò significa che l'unico modo per uccidere Paride è farlo come è successo la prima volta, millenni fa"
Si era quasi aspettato di sentire la voce di Annabeth che gli spiegava che arma avrebbero dovuto cercare, ma lei ovviamente non c'era.
Il suo cuore venne rinchiuso in una morsa.
"L'arco di Filottete, che gli fu donato da Ercole" spiegò Poseidone.
"E dove lo troviamo?"
"Non conosco la risposta"
Poseidone lanciò uno sguardo al cielo – o meglio, alla superficie – e poi tornò a guardare il figlio.
"Avrai bisogno di molti amici per salvare Annabeth" disse "anche quelli che forse non ti piacciono. E visti quanti troiani ha ucciso uno in particolare, anche a me non piace molto"
Gli diede una carezza sulla guancia.
"Chiedi a colei che possiede il sapere" suggerì, con un lieve sorriso "penso proprio sia propensa ad aiutarti in questa impresa"
Dopo averlo guardato un'ultima volta, il dio scomparve in una nuvola di bollicine.

***

Mentre tornava verso la sua capanna, Percy tirò fuori il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e lo aprì.
Estrasse la foto che vi aveva inserito e lo rimise via, puntando gli occhi verde mare sull'immagine.
Il sorriso di Annabeth gli era sempre piaciuto, perchè ogni volta che sorrideva pareva metterci tutta la sua energia.
Era un sorriso raro, essendo una ragazza seria, e lui amava quando riusciva a farla ridere.
Sfiorò con la punta delle dita il viso di lei.
"Verrò a prenderti" sussurrò "te lo prometto"
Si ritrovò davanti alla casa tre, una lunga e bassa costruzione scura adornata con oggetti provenienti dal mare come conchiglie e coralli.
Varcò la soglia, deciso a chiamare con un messaggio-Iride sua madre: sapeva che sarebbe stata distrutta dalla notizia della scomparsa di Annabeth – di nuovo – ma che lo avrebbe ucciso se non gliel'avesse detto.
In più, Sally Jackson era un'ottima consigliera.
Ma all'improviso Percy fu costretto a fermarsi, sbattendo le palpebre.
"E tu cosa ci fai qui?" gli uscì.
Achille alzò lo sguardo e lasciò cadere la collana con una conchiglia che stava osservando fino ad un attimo prima, facendola finire sotto l'armatura.
Era seduto sul letto che di solito occupava Tyson.
"Chirone mi ha detto di venire qui" disse "dice che questa è la casa di Poseidone e mia madre è una divinità del mare, quindi ha senso"
Percy continuò a fissarlo dalla soglia della porta, un po' accigliato.
Non gli andava di condividere la sua capanna con un tizio che aveva appena tentato di ucciderlo, dandogli la colpa di ciò che era successo.
Achille sospirò, facendo un respiro profondo.
Sembrava che ciò che stava per dire non gli piacesse per niente.
"Chirone vuole che ti chieda perdono per prima" esordì "e suppongo che anche Patroclo sarebbe della sua stessa opinione. Perciò ecco fatto, di più non so fare. Non è nella mia natura chiedere scusa"
Percy sospirò a sua volta e si sedette sul suo letto, accanto all'altro.
"Scuse accettate" disse, perchè non era bravo a serbare rancore "e poi anche io ho contrattaccato quindi non è completamente colpa tua"
Achille fece un leggero sorriso.
"Come hai fatto a fare quella cosa con l'acqua?" gli chiese.
Il figlio di Poseidone scrollò le spalle.
"Mio padre è Poseidone" spiegò "ho questa capacità"
Il Pelide rimase in silenzio qualche istante, come se stesse riflettendo.
"Mi ricordo di te" esordì poi.
"Davvero?"
Lui annuì.
"Il tempo scorre diversamente negli Inferi, perciò non saprei dirti quanto tempo fa è successo" continuò "ma ricordo che volevi diventare invulnerabile immergendoti nello Stige. Ti avevo detto che sarebe stato pericoloso, che non volevo lo facessi. Ti avevo detto che avresti avuto un punto debole e tu mi hai detto che ti sarebbe bastato non metterti i sandali. Sei stato insolente"
"Me lo dicono spesso"
"Eppure mi sei piaciuto"
Percy si voltò a guardarlo, sorpreso.
"Ti è stato utile diventare invulnerabile?" domandò poi Achille "Avevi detto che era l'unico modo per sconfiggere il tuo nemico. Ha funzionato?"
"Sì e no" rispose l'altro "la guerra ha avuto una svolta imprevista. Però l'invulnerabilità mi ha salvato in parecchie situazioni"
Era da quasi due anni che aveva quella domanda in mente, ma non aveva mai avuto la possibilità di farla a nessuno.
Ma ora...
"Quando mi hai detto di trovare un punto su cui focalizzare la mia mortalità, un'ancora per riuscire a riemergere..." iniziò "mi è apparsa una persona. È normale? Voglio dire, anche a te è comparsa una persona importante?"
Sul volto di Achille si creò un'espressione strana.
"Avevo pochi mesi quando mia madre mi fece diventare invulnerabile. Credo che sia stata lei la mia ancora, ma solo perchè non ero ancora capace di intendere e volere. Comunque anche l'altro ragazzo che ho avvertito prima di te aveva un'espressione sconvolta quando è uscito dallo Stige. Come se avesse visto un miracolo o qualcosa in cui non sperava più"
Abbiamo visto entrambi Annabeth, io e Luke, pensò Percy, ma non lo disse.
"Tieni molto a Patroclo?" gli domandò.
Ricordò che giravano molte storie sul conto dei due: alcuni sostenevano fossero cugini, altri migliori amici e altri amanti.
"Tengo a lui più d'ogni altra cosa" rispose subito l'altro, come se avesse sempre voluto che qualcuno gli facesse quella domanda solo per rispondere in quel modo "dopo che lui è morto, sapevo che io non avrei tardato a raggiungerlo. Così ho chiesto ad Odisseo di mettere le nostre ceneri nella stessa urna, cosicchè saremmo potuti stare insieme anche negli Inferi"
"Ed è stato così?"
Achille annuì.
Si poteva davvero fare?
Percy ed Annabeth sarebbero potuti stare insieme anche negli Inferi?
Lui avrebbe fatto in modo che fosse davvero così.
Rimanere era una parola soggettiva per moltissime persone, ma non per Percy.
Se lui decideva di rimanere, sarebbe rimasto perfino negli Inferi.
Perché chi ama davvero rimane.
E se lui amava, amava per sempre.
"Io vado a cercare Patroclo" disse Achille, come se fosse un dato di fatto "l'ho già detto a Chirone. Sono ancora qui perchè ha insistito mi riposassi almeno una notte, dicendo che non avrebbe giovato a nessuno dei due svenire per la stanchezza. Quel maledetto centauro è fin troppo saggio"
Percy fece un sorriso.
"Vengo con te" disse.
Achille si voltò a guardarlo, con un sopracciglio inarcato.
"Non ti ho dato il permesso" sottolineò.
"E io non te l'ho mai chiesto. È anche la mia, di impresa. Andremo insieme oppure ognuno per i fatti suoi, non mi interessa. Sappi solo che sono restio a lasciare un amico indietro"
Il Pelide sorrise leggermente.
"Ora siamo amici?"
"Siamo sulla buona strada"

***

L'Athena Parthenos si ergeva maestosa sopra una piccola collina e sembrava scrutare il Campo Mezzosangue dall'alto dei suoi dodici metri.
Secondo le antiche storie era stato lo scultore Fidia a crearla e Percy aveva sempre pensato che dovesse aver conosciuto Atena in persona perché la statua raffigurava la dea alle perfezione.
Era un po' inquietante, specialmente perché pareva sempre sul punto di fulminarti con una sola occhiata.
Ma suo padre era stato chiaro: Percy sarebbe dovuto andare da "colei che possiede il sapere", cioè la dea della saggezza.
Dopotutto Annabeth era sua figlia: Atena sarebbe stata più propensa a dare una mano.
In più Poseidone aveva detto che lei sapeva dove trovare l'arco di Filottete, che era l'unico modo per uccidere Paride.
"Eccomi qui" esordì Percy.
Non era ben sicuro di cosa avrebbe dovuto fare: inchinarsi? Farle un'offerta di cibo?
Era una statua, dopotutto, non Atena in persona.
Non che aiuterebbe se fosse lei stessa, pensò, considerato che dopo avermi detto di stare lontano da sua figlia io mi ci sono messo insieme.
"Si tratta di Annabeth" disse poi, guardando il viso di marmo bianco "Paride l'ha rapita. È sua figlia, le vorrà un po' di bene no? Perciò mi aiuti"
Abbassò la voce.
"Per favore" sussurrò "non so che fare"
La statua rimase perfettamente immobile.
Ricordò al Campo Giove il busto del dio Terminus, che inveiva contro chiunque entrasse armato nel Foro o avesse un abbigliamento inopportuno.
"Mi dia almeno un segno" pregò "mio padre dice che lei sa dove dobbiamo andare. Ci aiuti a salvare Annabeth. La prego"
Percy strinse le mani a pugno, nascoste nelle tasche dei pantaloni.
Doveva sforzarsi di rimanere calmo, perché altrimenti avrebbe solo peggiorato le cose.
"Sa che in qualunque caso io partirò alla sua ricerca" disse "la lealtà è il mio difetto fatale, è stata lei a dirmelo anni fa. Almeno mi indichi la strada giusta. Annabeth ha salvato la sua statua, maledizione! È riuscita dove tutti gli altri suoi figli hanno fallito! Le deve qualcosa in cambio"
Per un istante gli parve che gli occhi avessero mandato un leggero bagliore.
"Sa che è così" insistè, determinato "e lei sa cos'è un patto. Per favore, mi aiuti a salvare la ragazza che amo"
Forse Atena sentì l'intensità con cui Percy aveva detto le ultime parole.
Forse aveva avuto pietà.
Se c'erano altre spiegazioni, al figlio di Poseidone non importava, perché gli bastava ciò che aveva ottenuto.
Vai dove tutto ebbe inizio, disse una voce nella sua testa, il posto da cui Annabeth è fuggita.
Ma attento alla dea che serba rancore.
"Grazie" Percy chinò il capo scuro.
Avrebbe dovuto parlare con Chirone, per dirgli che sarebbe andato in Virginia in quel preciso istante.
Forse sapeva perfino dove fosse la vecchia casa dei Chase, da cui Annabeth era scappata quando aveva sette anni.
Per quanto riguardava la dea che serbava rancore... ci avrebbe pensato dopo.
Sperava solo non si trattasse di chi pensava lui, perchè Percy non aveva nessuna voglia di chiedere aiuto a lei.
Guardò dritto davanti a sè, verso l'oceano che era lo stesso che bagnava la Virginia.
Finalmente gli sembrava di essere un passo più vicino al raggiungere Annabeth.
Gli parve quasi di vederla che gli tendeva una mano, con gli occhi grigi che brillavano e i ricci biondi che svolazzavano al vento.
"Sto arrivando" disse al vento.

Stay | PercabethWhere stories live. Discover now