VII. Famiglia

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"Che ore saranno secondo te?" domandò Annabeth.
Era seduta con la schiena appoggiata alla parete della cella – perchè quello era per lei – e aveva le ginocchia rannichiate davanti a sè.
Immaginava che anche Patroclo, nell'altra cella, fosse nella sua stessa posizione: schiena contro schiena, cercando di darsi sostegno a vicenda.
Era felice di non essere da sola.
"La notte è calata da poco" rispose Patroclo "Paride verrà a portarti da mangiare"
"Solo a me?"
Lo sentì emettere una breve risata.
"Credo che speri io muoia di fame" ammise "ma tu sei importante per lui. Vorrei vederti, per capire se davvero sei così simile ad Elena"
"L'hai conosciuta?"
"Ero appena un bambino quando tutti i re si radunarono alla corte di re Tindaro per chiederla in sposa. Mio padre volle a tutti i costi che anche io facessi la mia proposta. Era nascosta da un velo bianco, ma il suo viso si intravedeva lo stesso. Era bellissima, non posso negarlo, ma non mi attraeva. Nè lei nè nessun'altra"
Oh, pensò Annabeth, allora le storie su lui e Achille erano vere.
"Achille verrà a cercarmi" continuò Patroclo "ma te? Pensi che qualcuno ti stia cercando?"
"Percy mi troverà"
Il Meneziade rimase in silenzio qualche istante, come valutando i suoi pensieri.
"Chi è Percy?" domandò, con voce gentile "Ho la sensazione che ti farà piacere parlare di lui"
Annabeth sorrise, mentre il cuore le si faceva più pesante.
"Percy è..." la sua voce esitò, proprio come nel Tartaro "è la parte migliore della mia vita. È fastidioso a volte, lo ammetto, ma se non fosse così non sarebbe lui. Sa essere davvero dolce, quando vuole, ed è... È l'unica persona che non mi abbia mai lasciata"
Era facile parlare a cuore aperto fissando davanti a sè la parete chiara della cella.
"Devi amarlo davvero tanto" osservò Patroclo "la tua voce cambia quando pronunci il suo nome"
"Tu ami Achille?"
Ma la risposta di Patroclo non arrivò mai, perchè la porta della cella di Annabeth si aprì.
Lei scattò in piedi, portando institivamente la mano al fianco ma il suo pugnale non c'era – oltre al fatto che avesse le mani legate.
Paride entrò con una lanterna in mano, il viso un gioco di ombre e spigoli.
"Sei sveglia" disse, con un sorriso.
"Intendi dopo che mi hai drogata con del cloroformio?" lanciò uno sguardo al fazzoletto adagiato a terra "Sì, sono ancora viva, grazie di averlo chiesto"
"Mi dispiace" proseguì lui "ma non avevo altra scelta. Non saresti venuta con me spontaneamente"
"Questo spiega perchè non avresti dovuto rapirmi! Io non sono chi credi tu"
Paride scosse la testa, nascondendo un sorriso, mentre prendeva un vassoio posto fuori dalla cella e glielo porgeva.
Conteneva una pagnotta di pane e un bicchiere di acqua.
"Oh Elena hai sempre la tua testa dura, vero?" mormorò.
Annabeth era affamata, ma non voleva dargli la soddisfazione di mangiare ciò che lui le offriva.
"Dici di amarmi, ma mi tieni rinchiusa in una cella"
"Cella" ripetè Paride "termine corretto, visto che ci troviamo in un monastero. Vorrei tanto lasciarti libera, ma non posso ancora. Non ricordi chi sei davvero"
"Non sono Elena"
Doveva avere l'aspetto di una pazza, riflettè, con i capelli biondi arruffati e gli occhi che brillavano.
Lo squadrò da capo a piedi e i suoi occhi furono catturati da qualcosa che brillava attaccato alla cintura, sopra l'armatura.
Erano delle chiavi.
Immaginò la voce di sua madre nella testa, che le diceva di sfruttare le debolezze di Paride a suo vantaggio.
Annabeth fece un respiro profondo, mentre tornava a guardarlo negli occhi.
Immaginò al posto dei riccioli scuri di Paride i capelli corvini di Percy, perennemente arruffati.
Immaginò al posto degli occhi castani del principe, quelli verde mare del figlio di Poseidone.
Percy..., pensò.
"Paride..." disse invece, addolcendo il tono di voce.
"Sì?"
Quando lui si avvicinò, lei finse che le gambe le cedessero e cadde a terra.
Paride fu svelto e la prese tra le braccia, inginocchiandosi poi di fronte a lei facendo oscillare le chiavi.
"Va tutto bene?" domandò poi.
Annabeth represse l'impulso di allontanarlo, ignorando tutte le sue cellule che le gridavano: pericolo!, pericolo!
"Ho avuto un capogiro" disse "credo... credo di ricordare qualcosa"
Il volto di Paride si aprì in un sorriso.
La figlia di Atena gli posò la testa nell'incavo del collo, con le mani al fianco.
Aveva visto tante volte i figli di Ermes fare quel movimento veloce con la mano, per sfilare di tasca il portafogli a qualcuno.
In un secondo la prima chiave del mazzo era tra le sue mani.
Fate che sia quella giusta, pensò.
Paride le mise un mano sulla guancia, carezzandogliela.
Annabeth si irrigidì, ma si impose di rimanere impassibile.
"Elena?" chiamò.
Lei annuì.
Il suo gesto diede coraggio al principe, che si sporse in avanti.
Annabeth però scattò in piedi e si voltò dall'altro lato, infilandosi svelta le chiavi nella tasca dei pantaloncini.
"Cosa?" farfugliò lui, alzandosi "Non capisco... perchè mi hai repinto?"
"Non sono pronta" rispose lei "io... non sono sicura di chi sono. Se mi ami davvero so che rispetterai la mia decisione"
"Ma forse un bacio potrebbe aiutarti a ricordare chi sei davvero"
"Sono stanca" Annabeth si voltò per fronteggiarlo "per favore, lasciami un po' di tempo"
Paride le prese la mano e la strinse.
"Ti amo" disse, chinandosi a baciargliela "ricordatelo"
Annabeth capì cosa avesse attratto Elena di Sparta in quel bel straniero.
Ma non riusciva comunque a giustificarla: se avesse amato davvero suo marito Menelao, non sarebbe scappata con Paride.
Quando Paride la guardava con gli occhi pieni di amore, Annabeth non poteva fare a meno di desiderare che fosse Percy a guardarla così.
Perchè voleva essere guardata in quel modo solo da lui.
Il principe la guardò un'ultima volta, poi uscì dalla cella e si chiuse la porta alle spalle.
Era il momento: se Paride non fosse riuscito a chiudere la porta sarebbe significato che Annabeth aveva la chiave giusta.
A quel punto lui sarebbe entrato nella cella di nuovo, pensando di averla persa: non avrebbe mai immaginato che la sua Elena gli avesse preso le chiavi da sotto il naso.
Dunque Annabeth sarebbe riuscita a coglierlo di sopresa e avrebbe potuto stordirlo, per poi prendere la sua spada per precauzione.
Avrebbe liberato Patroclo e sarebbero scappati.
Ma niente andò secondo i suoi piani: Paride chiuse la porta a chiave e se ne andò, con i passi leggeri che risuonavano sulla pietra.
Annabeth imprecò in greco antico.
"Non avevo mai sentito dire queste parole da una donna" commentò Patroclo.
"Ho preso una chiave a Paride" disse lei "ma non è quella della mia cella. Ma forse..."
Si avvicinò alla finestrella, dove l'altro era già in sua attesa.
"Tieni"
Gli porse la chiave e Patroclo la prese.
La guardò per un istante negli occhi e poi si diresse verso la sua porta.
"Funziona" mormorò, mentre la serratura scattava.
Annabeth sorrise.
"Non posso lasciarti qui" ribattè Patroclo "devo trovare Paride e prendere anche la tua chiave"
"No!" esclamò lei "Paride ha già avuto la meglio su di te. Devi scappare"
"Non ti lascio"
"Devi"
Annabeth avrebbe tanto voluto avere la lingua ammaliatrice di Piper.
"Invoca l'aiuto degli dei" proseguì, in tono deciso "e cerca Percy Jackson. Paride non mi farà del male, anche se tu sarai scappato"
"Annabeth..."
"Cerca Percy Jackson" ripetè "io non vado da nessuna parte"
Patroclo rimase in silenzio qualche istante.
"Εσκάτως ανδρεία ει" le disse.
Lo sentì fuggire con passi felpati e sperò che Atena lo guidasse.
Si sedette di nuovo con la schiena appoggiata al muro e chiuse gli occhi.
"Quando arrivi, Percy?" mormorò.

Stay | PercabethWhere stories live. Discover now