IX. Vendetta

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Le palpebre cominciavano a pesare, fremendo perché venissero chiuse e potessero riposare.
Ma Annabeth teneva duro.
Razionalmente sapeva che non avrebbe potuto resistere ancora per molto, perché non aveva chiuso occhio da quando Paride l'aveva rapita.
Il problema era che non aveva alcuna intenzione di addormentarsi: sapeva che avrebbe fatto di nuovo un incubo sul Tartaro.
L'ultima volta solo Percy era riuscito a calmarla, a farle capire che aveva smesso di sognare.
Ma ora lui non c'era.
In più non sapeva se sarebbe riuscita a controllarsi ed evitare di urlare: attirare l'attenzione di Paride era l'ultima delle sue priorità.
Doveva dare a Patroclo più vantaggio possibile, in modo che trovasse Percy.
Rimani sveglia, si disse, ce la puoi fare. Distraiti. Pensa a qualcos'altro.
Si costrinse a visualizzare nella mente l'immagine di suo padre, con i capelli color sabbia posti sotto un cappello da aviatore e i caldi occhi castani.
Immaginò i suoi fratelli Bobby e Matthew, che si rincorrevano per casa mentre la sua matrigna preparava i biscotti.
Le venne in mente suo cugino Magnus, con i suoi stessi occhi grigi che le raccontava dello Spazio Chase.
Quando poi pensò a Chirone, che forse le aveva fatto da padre più di chiunque altro, sentì di star perdendo la concentrazione.
"Chiudi gli occhi, Annabeth" disse lui "riposa. Accetta il regno di Morfeo"
Non riuscì nemmeno a replicare: si era già addormentata.
Si trovava di nuovo nella dimora della dea Nyx, completamente immersa nella notte più buia.
Sentiva sussurri che le davano brividi lungo la spina dorsale.
Sguainò la sua spada di osso di dragone e la brandì davanti a sè, anche se sapeva fosse inutile.
"Basta!" gridò.
Tese la mano libera accanto a sè nell'oscurità, pregando di prendere quella di Percy.
Ma era sola.
"Io non ho paura!"
Era una bugia.
Si guardò disperatamente intorno, sentendo un terribile senso di claustrofobia.
Non riusciva a vedere assolutamente nulla.
"Ti è piaciuto il mio arazzo, figlia di Atena?" serpeggiò la voce di Aracne.
"Sono sicura che questa maledizione ti piacerà, eroe" gracchiarono le voci delle arai.
"Dov'è il tuo fidanzato? Ti ha lasciata come tutti gli altri? Hai finalmente capito che questo è il tuo destino, Annabeth Chase?"
L'ultima voce era la peggiore.
Era la peggiore perché apparteneva a Luke.
"Basta" mormorò, poi alzò la voce "Basta!"
I sussurri diventerò sibili sempre più insistenti, facendole girare la testa e colpendola come pneumatici.
Annabeth crollò in ginocchio, lasciando cadere la spada.
Si prese la testa tra le mani, chiudendo gli occhi con forza.
"Io sono la mia ancora" disse in un sussurro "io posso salvarmi da sola. Posso trovare la via d'uscita. Posso salvarmi da sola"
Guidata da un istinto primordiale, sbattè le mani per terra con forza provocando un eco della sua stessa voce.
"Basta!"
Le voci cessarono come se non fossero mai esistite.
Annabeth alzò lo sguardo e vide che in lontananza c'era una piccola luce.
Senza nemmeno rendersene conto stava già correndo verso di essa.

                                     ***

Percy alzò lo sguardo verso la collina, dove sapeva avrebbero edificato il tempio a suo padre.
Aveva dato un'occhiata ai progetti di Jason, durante le vacanze di Natale, ma non ci aveva capito un bel niente, quindi aveva lasciato lui ed Annabeth a continuare la loro discussione su architravi e piedrittti.
Era felice per il tempio: quando era arrivato al Campo Giove, Nettuno non era di sicuro il dio preferito dalla dodicesima legione fulminata.
Mentre adesso tutti avrebbero avuto il loro tempio, come avevano promesso a Cimopolea tanto tempo fa.
Con la coda dell'occhio, Percy vide un guizzo di luce.
Si voltò e vide che il tempio accanto a dove si trovava non era più vuoto.
"Devo dire che i Romani hanno fatto prorio un bel lavoro" commentò il ragazzo dai capelli biondi "devo dirtelo, Percy, questo tempio è molto più bello di quelli che ci sono al Campo Mezzosangue"
"Ehm veramente non ci sono templi, là" rispose lui.
Apollo alzò gli occhi al cielo, allargando le mani verso la costruzione architettonica.
"Appunto!" ribadì "Il punto è: perché? Voglio dire, mi meriterei almeno cinque – anzi no, sette, visto che è il mio numero – templi che esaltino la mia bellezza. Sai cosa? Uno dedicato alla musica, uno alla poesia, uno al culto del sole, uno all'arte medica, uno alla profezia, uno al tiro con l'arco e infine uno ai fantastici anni 90"
Si fermò e rimase in silenzio, con le mani posate sui fianchi a contemplare ciò che aveva detto con aria compiaciuta.
"Dovresti parlarne con la tua ragazza Annabeth, ha fatto un bel lavoro l'anno scorso con l'Olimpo" sorrise, voltandosi a guardare il figlio di Poseidone.
Poi fece un verso di sorpresa e si picchiettò la mano sulla fronte, come se si fosse appena ricordato qualcosa.
"A proposito di Annabeth" proseguì "sono qui per darvi una mano"
Percy si illuminò.
"Parli davvero?" esclamò "Apollo, prometto che ti farò un enorme sacrificio al falò del Campo. Tutti i giorni per tutto il tempo che vorrai"
Apollo finse un'aria modesta, per una cosa come cinque secondi, poi ritornò alla sua aria tronfia.
"Però ho una condizione" disse, puntandogli un dito contro "vi dirò cosa vi serve per entrare nel monastero dove quel birbantello di Paride la tiene prigioniera e dove trovare questo oggetto. Ma voglio che poi lo diate a me"
Il figlio di Poseidone aggrottò la fronte.
"Non per essere irrispettoso, ma..." iniziò "cosa te ne fai di un oggetto cristiano?"
"Studio il nemico" fece Apollo, con aria complice.
"Dio?"
"Uno che ha la D maiuscola se la crede troppo, per i mei gusti"
Ah lui se la crede troppo?, pensò Percy.
"Comunque, dicevo, ho anche bisogno di una nuova spada" riprese Apollo "non l'ho detto? L'oggetto in questione è una spada. Si dice che fosse appartenuta a Giovanni Battista. Essendo in epoca romana era fatta d'oro imperiale, però è stata benedetta nel fiume Giordano in Palestina, quando Giovanni battezzava i discepoli. È l'unico reperto in cui le due culture si sono fuse in una cosa sola"
"Ma se Paride è riuscito ad entrare nel monastero significa che ce l'ha già" sottolineò il ragazzo.
Il dio scosse la testa.
"Secondo la leggenda le spade originali erano due" spiegò, mimando il numero con le dita "una apparteneva a Giovanni, l'altra a Gesù Cristo"
"E dove le troviamo?"
"Oh qua vicino"
Apollo allungò il braccio verso la San Francisco Bay.
"All'interno del Lincoln Park, nella Legion of Honor Museum" disse "ma non posso dirvi niente di più, dovrete scoprire il resto da soli"
"Grazie" Percy annuì.
Apollo gli fece un sorriso luminoso quanto il sole, avviandosi di nuovo dentro il suo tempio.
"Oh e mi sono scordato di dirtelo" concluse "dovresti fare due chiacchiere con Rachel"
Poi la luce sembrò piegarsi e il dio scomparve.
Percy si sentì terribilmente in colpa: Rachel Elizabeth Dare, l'oracolo di Delfi, abitava a Nuova Roma e lui non si era nemmeno ricordato che anche lei fosse lì.
Fino a due anni prima, quando ancora la minaccia incombente era Crono, il signore dei Titani, Percy si era ritrovato a chiamare sempre più spesso Rachel per uscire con lei.
Era una mortale e aveva l'incredibile capacità di distrarlo, facendogli dimenticare per qualche ora il fatto che ci fosse una Grande Profezia che lo riguardava e avrebbe segnato la vittoria o la distruzione dell'Olimpo.
Per qualche ora poteva sentirsi un normale adolescente newyorkese ed essere felice, divertirsi.
In più la situazione con Annabeth era complicata: i semidei al Campo Mezzosangue erano costantemente impegnati con missioni di ricognizione per spiare l'esercito di Crono, operazioni coordinate da lei stessa che quindi non aveva molto tempo da perdere.
In più quando si ritrovavano da soli, il figlio di Poseidone e la figlia di Atena finivano irrimediabilmente per litigare, eppure quando non erano insieme lei gli mancava.
Percy sorrise a quel ricordo, mentre scendeva la collina e proseguiva verso Nuova Roma.
Ai tempi non lo sapeva, pensò, ma sia lui che Annabeth si stavano innamorando l'uno dell'altra ma erano entrambi troppo orgogliosi per ammetterlo.
Ricordava quanto Annabeth fosse stata gelosa di Rachel, quando avevano capito che sarebbe stata l'unica soluzione per orientarsi nel Labirinto di Dedalo, tre anni prima.
Ma da quando la ragazza era diventata l'oracolo, le cose tra le due erano migliorate ed erano diventate amiche.
Anche Tyson era a Nuova Roma, riflettè Percy, insieme all'arpia Ella, ma non poteva incontrarlo.
Avrebbe dovuto dirgli di Annabeth e non voleva farlo soffrire: sarebbe tornato a trovarlo insieme a lei.
I pensieri vorticavano nella mente del figlio di Poseidone e senza rendersene conto si ritrovò ad andare a sbattere contro una statua.
"Allora!" esclamò Terminus, il dio dei confini "Si può sapere dove guarda la gente, di questi tempi?"
Questa non ci voleva, pensò Percy.
"Ciao Terminus" disse e fece per proseguire.
"No no, signorino, dove credi di andare?" lo riprese subito "Hai visto come sei conciato? Se provi anche solo a dirmi che è per colpa di un gigante e vuoi che usi di nuovo i miei poteri contro di lui giuro che ti strangolo"
Il figlio di Poseidone nascose un sorriso, perchè la statua era un busto e quindi non aveva le mani.
Sapeva che non l'avrebbe aiutato farglielo notare.
"I giganti sono stati sconfitti un anno fa" spiegò quindi.
"Perchè nessuno mi dice mai niente?" si lamentò Temrinus, sbuffando "Ma non puoi lo stesso entrare in città con quella maglietta tutta strappata. La decenza dov'è finita, ragazzo? Dove?"
Percy chinò lo sguardo e vide che effettivamente la sua maglietta del Campo Mezzosangue era strappata su una spalla dove le fauci del primo seprente marino l'avevano colpito.
In più, visto che si era bagnato, era rigida a causa del sale.
"Ho combattuto contro due serpenti marini, Terminus, e sono in una missione di salvataggio: il mio look non è proprio la mia priorità in questo momento"
"Lo è per me!"
Il figlio di Poseidone si chiese se per caso non stesse mettendosi le braccia conserte, metaforicamente parlando.
Avrebbero anche potuto rimanere a discutere tutto il giorno, ma per fortuna ci pensò Reyna a salvare la situazione.
"Terminus, lascia passare Percy" disse "è con me"
"Ma..." provò Terminus.
Reyna si limitò a guardarlo con la sua aura di autorità.
"Oh e va bene, Pretore" borbottò "andate"
Percy si rivolse a Reyna e le sorrise.
"Mi hai salvato" disse.
Lei alzò gli occhi al cielo.
"Figurati" disse "cosa ci fai qui? Dovresti riposare se domani volete partire per andare al monastero. Achille e Patroclo lo stanno facendo. Be' almeno credo. Probabilmente si staranno raccontando ciò che è successo da quando si sono separati. Comunque, perchè sei qui?"
Le raccontò dell'incontro con Apollo e di quello che aveva scoperto, aggiungendo il motivo per cui si trovava a Nuova Roma.
Il viso di Reyna si rabbuiò.
"Non mi piace" disse "Rachel mi ha detto che da qualche tempo sta facendo sogni strani che non riesce ad intepretare. Ho paura si tratti proprio di questa situazione. In quanto alla missione al Lincoln Park, Hazel e Frank verranno con te, insieme ad Achille e Patroclo"
"Tu non vieni?"
Lei scosse la testa.
"Il Campo ha bisogno di un pretore e a te serve Frank, così da poter andare diretti al monastero" disse, poi esitò "senti, prima non volevo chiedertelo quando c'erano anche gli altri ma..."
"Vuoi sapere di Jason, non è vero?"
Reyna serrò le labbra.
"Come sta?" chiese, in tono neutro.
"Credo gli farebbe piacere se andassi a trovarlo"
"Lui è sempre il benvenuto qui, ci ha vissuto per anni"
"Non è la stessa cosa, lo sai. Dovete chiarirvi"
Lei si voltò a guardare Percy e gli mise una mano sulla spalla.
"Grazie di avermi detto la verità" disse solo.
Si voltò e se ne andò, mentre il mantello color porpora svolazzava alle sue spalle.
Il figlio di Poseidone guardò verso il bar che aveva davanti, essendo al centro della piazza principale di Nuova Roma, e vide subito Rachel, con i voluminosi capelli rossi.
Era seduta a uno dei tavolini fuori, con una fumante tazza di caffè posata accanto ad un foglio, sul quale stava di sicuro disegnando qualcosa.
Le si avvicinò e rimase di pietra quando vide che il disegno era un volto.
"Di Immortales" esclamò "Quello è Paride!"
Rachel alzò di scatto la testa, lasciando cadere la matita.
"Percy!" esclamò.
Si alzò e lo abbracciò.
"Ti prego" disse poi, tornando a sedersi mentre lui si accomodava di fronte a lei "dimmi che i sogni che sto facendo non c'entrano con voi. Dov'è Annabeth?"
"Credo tu lo sappia"
Rachel impallidì e si prese la testa tra le mani, cominciando a scuoterla.
"Dei, ma non potete mai avere un momento di pace?" mormorò.
"Non dirlo a me"
Percy si appoggiò allo schienale della sedia, sospirando.
"Apollo mi ha detto di parlare con te" disse.
"So perchè Paride ha rapito Annabeth" fece lei "e non è niente di buono"
Fece un respiro profondo e poi prese a raccontare.
"Tutto questo sarebbe dovuto succedere l'anno scorso, durante la guerra contro Gea. Lei stessa aveva programmato tutto: ha instillato nella mente di Paride il pensiero di sfruttare il fatto che le Porte della Morte fossero aperte per ritrovare Elena, che negli Inferi non aveva mai visto. Sapeva che l'avrebbe scambiata per Annabeth e che l'avrebbe rapita: così avrebbe avuto la mente dei sette della profezia fuori gioco. E così tu, Percy. Gea sapeva del tuo difetto fatale e sapeva che avresti abbandonato la missione di andare nelle terre antiche pur di salvare Annabeth. Quando Paride è giunto a New York, gli dei hanno mandato Morfeo ad addormentarlo per fermarlo su richiesta di Ade, visto che non aveva il potere di riportarlo indietro. Le loro personalità greche e romane si stavano scontrando, distruggendoli dall'interno, perciò quella è stata l'unica cosa che sono riusciti a fare. Dopo che Leo si è sacrificato e ha sconfitto Gea, pensavano di lasciarlo dormiente fino a che non avrebbero trovato un modo per riportarlo negli Inferi, ma è successo qualcosa che non si aspettavano. Con le ultime forze, Gea lo ha risvegliato"
"Ma l'abbiamo già sconfitta. Non potrà risvegliarsi per altre migliaia di anni" ribattè Percy "perchè svegliarlo? Ormai è finita"
Rachel lo guardò con gli occhi verdi scuriti.
"Perchè vi odia, Percy" disse "e vuole vedervi distrutti, anche se lei non sarà la causa diretta della vostra distruzione"

Stay | PercabethWhere stories live. Discover now