Capitolo 35. Altra psicopatica

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Prima di pranzo tornai al campus e fui assalita da ottocento domande di Jenna, che deviai raccontandole un aneddoto su un fisico del '900. 

Non avevo chiuso occhio per tutta la notte a causa del mal di testa che continuava a persistere. Jenna, inoltre, non faceva altro che russare per cui gli effetti delle medicine svanivano immediatamente con i suoi fastidiosi rumori. Il nervosismo lo portai con me per l'intera mattinata, infatti, mi mossi per l'ennesima volta sulla sedia, scomodissima tra l'altro, e sbuffai ancora.

«Si può sapere che hai?» sussurrò Jenna al mio fianco, senza staccare gli occhi dalla lavagna e la penna dal foglio.

«Questa dannata sedia è scomoda» sbuffai e scrissi alcuni algoritmi che il professore stava segnando.

«Oggi sei irrequieta» sospirò e prese la penna rossa per segnare ogni cosa di un colore diverso.

«Non ho dormito bene» mormorai e mi passai una mano tra i capelli. Ero nervosa perché ancora non avevo sentito Harry dopo il pranzo con la famiglia, per cui non sapevo cosa fosse successo e avevo già iniziato ad immaginare le peggiori cose.

«Lo so, sentivo che ti giravi e rigiravi tra le coperte» si voltò a guardarmi per un secondo.

«Non lo avrei detto con il tuo continuo russare» alzai gli occhi al cielo e scrissi qualche appunto sul passaggio di memoria dalla memoria centrale al disco rigido.

«Simpatica!» esclamò.

«Potreste zittirvi?» disse una ragazza dietro di noi, toccando la spalla di Jenna.

«Scusac-» interruppi Jenna.

«Cambia posto se non ti sta bene» la fulminai.

«Sei una maleducata del cazzo, come ti permetti di rivolgerti in questo modo a me. Ti ho solo chiesto di abbassare la voce!» sbottò.

«No, tesoro, ci hai letteralmente detto di stare zitte» alzai un sopracciglio e Jenna mi toccò il gomito intimandomi di calmarmi.

«È uguale» assottigliò lo sguardo su di me, non feci in tempo a controbattere che l'ora finì e tutti si alzarono per uscire. «Non mi avete fatto capire nulla, se prenderò B all'esame sarà colpa vostra!» piagnucolò e andò via, correndo.

«Ma magari lo prendessi io 'sto B» sospirai e Jenna rise di gusto.

«Invece di essere rimandata ogni dannata volta.»

«E già, che sfiga» esclamai.

«Non è sfiga, è solo mancanza di voglia di studiare» alzò un sopracciglio nella mia direzione.

«Non ho molta voglia di studiare ultimamente» sbuffai.

«E perché l'hai scelto come corso da seguire, se sapevi fosse impegnativo?» alzò gli occhi al cielo.

«Perché mia madre insegnava informatica» mormorai e continuammo a camminare verso il bar del campus.

«Io credo che tua madre sarebbe molto più orgogliosa se tu seguissi ciò che piace a te e non ciò che piaceva a lei» mi sorrise dolcemente e mi accarezzò il braccio.

Annuii senza voglia di controbattere e ordinai una cioccolata calda per me ed un te allo zenzero per Jenna.

«Perché non prendi una camomilla, magari dormi un po'» propose.

«Col cazzo!» esclamai facendo ridere il barista.

«Perch-» Jenna fu interrotta da Derek.

«Ad Yiddish non piace né la camomilla né il te, dice che con l'acqua calda si lava i piedi, non la beve» disse il cameriere e ci porse le ordinazioni. Sorrisi a trentadue denti ed annuii orgogliosa.

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