2. MILO.

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L'alba le accarezza la pelle, tingendole il corpo nudo e le dita intrecciate tra le lenzuola di lino. Il bordo, ricamato d'azzurro, le cinge i fianchi, carezzandole l'addome disteso. Milo, accanto a lei, sdraiato sulla schiena, la guarda con indifferenza: l'orgasmo della notte scorsa gli scivola addosso, intorpidendogli il petto, le braccia, le mani, fino alla punta delle dita contratte attorno al filtro della sigaretta. Si esaurisce velocemente e l'appagamento - la piacevole debolezza che lo ha travolto mentre mormorava frasi sconnesse, sospirando tra i suoi capelli - si trasforma in insoddisfazione. Disagio. Inadeguatezza. Noia. L'eccitazione brucia come un fiammifero nel buio, soffocando in una striscia di fumo che sa di petrolio e delusioni: R. è bella, bellissima, le labbra socchiuse e le lunghe ciocche scure che le accarezzano i seni scoperti, ma Milo, ormai sveglio, le è indifferente. Ha toccato l'apice, immergendovi le mani, ma poco prima della rottura, ad un istante di distanza dall'estasi, è scivolato via, inciampando in un trepidante orgasmo che, consumando il corpo labile, ha lasciato la mente vigile e fredda, mentre le membra incendiavano le coperte sporche. Il sesso ha un odore, e la stanza ne è impregnata. Sulla pelle di Milo, invece, indugia il profumo di R., acido e floreale: penetra nelle narici, scivolandogli nello stomaco in un disgustoso ed insistente conato di nausea. Tutto, attorno a lui, è diventato incolore, e la bellezza di R. è sfumata, anonima, mescolandosi ad una delle infinite albe che bagnano Roma.

Sospira, tirandosi a sedere. R., alle sue spalle, si sveglia lentamente, emergendo dalla nebbia che le appanna la vista. Si tira le lenzuola fino al collo, pudica, come se Milo non avesse già visto ogni parte di lei; come se non le avesse inspirato l'ossigeno dai polmoni e sfiorato le radici dell'anima, celate sotto la carne; come se non avesse assaporato il suono del proprio nome, debole, direttamente dalle sue labbra piene, arrossate dall'intensità del momento. Il sorriso che gli rivolge è sincero, appagato, assuefatto, ed il palmo della sua mano si distende sulla schiena di Milo, catturandone il movimento regolare. Sente la pelle modellarsi sulle vertebre.

«Che fai?» mormora, premendosi contro di lui.

Gli lascia un bacio sul collo, ma Milo si scosta, spegnendo la sigaretta nel posacenere di vetro sul comodino. Il suo profumo è insopportabile. Lo sente aderire alla lingua, mescolato al tabacco e alla bile.

«Devo andà a lavoro.»

«Non puoi restare a fare colazione?»

«No.»

Non c'è imbarazzo nei suoi movimenti: quando si alza, allontanandosi da lei e dalle lenzuola umide di sudore, a coprirlo c'è solo la penombra data dalle serrande abbassate. Raccoglie i propri vestiti da terra, infilandosi i boxer e i jeans. Ha voglia di farsi una doccia, di infilarsi sotto il getto d'acqua gelata e dimenticare la notte appena trascorsa, liberandosi delle loro gambe intrecciate; dei capelli di lei che gli solleticavano il viso, impigliandosi alla barba; del suo sguardo stanco ed innamorato, intento a percorrere i piani del petto, delle spalle, spogliandolo per l'ennesima volta.

Cani randagiWhere stories live. Discover now