3. ELIA.

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Elia ha ventisei anni, una compagna, una figlia, un canino d'oro bianco e nessun dente del giudizio

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Elia ha ventisei anni, una compagna, una figlia, un canino d'oro bianco e nessun dente del giudizio. Di notte, quando l'umidità invernale scivola sotto ai vestiti, graffiandogli la carne, sposta le casse. Ceste ricolme di oggetti invenduti e microscopici cadaveri sul punto di disfarsi, di mele ammaccate, piramidi di frutta pompata chimicamente, confezioni di vitelli grossi come tori, spiedini di maiali appesi a testa sotto nei mattatoi dai pavimenti incrostati di viscere. Una volta, mentre trascinava le bare di plastica da un piano all'altro, ha visto un pezzo di formaggio di capra costellato di isolotti di muffa — l'ha girato ed ha continuato in silenzio. Fa il magazziniere, e trascinando le finte arance a chilometro zero, cullato dallo stridere dei carrelli e dal ronzio dei frigoriferi, sfiora gli ottocento euro mensili. Sua figlia, però, ha bisogno di vestiti, di un cappotto e di mangiare regolarmente, perciò, di giorno, seduto al tavolo dello stesso bar, discute con gli alcolisti gonfiati dalla birra e fa lo spacciatore, riempiendo le tasche della tuta di contanti sporchi di coca e di grasso. Rifornisce i tossici del vicinato, un braccio pallido abbandonato sul tavolo di plastica e l'altro, protettivo, che giace sul sedile della Kawasaki Z300 parcheggiata accanto a lui, con i cerchioni graffiati dal bordo del marciapiede.

Le grandi ambizioni della vita lo hanno abbandonato insieme ai denti del giudizio, lasciandolo a masticare sangue con le gengive a pezzi e gli occhi umidi. Adesso ha un ecosistema. Il tavolo e la sedia che affacciano sulla strada, di fronte alla vetrina ingiallita del bar, sono un'escrescenza maligna che si nutre di energia vitale ed infetta la quieta esistenza di chi le cammina attorno, sfiorandola con un angolo della borsa od urtandola con un gomito. Lui, il Sorcio, Gigi ed Andrea sono un aneurisma pieno di capillari fragili che minaccia di scoppiare e paralizzare l'intero lobo frontale della loro vita; lo scarto dello scarto; un ammasso di cellule morte che si frantumano e si disperdono. Un movimento di troppo e l'area di Broca collassa, precludendogli la possibilità di articolare i propri pensieri. Un respiro profondo e perdono l'uso delle mani. Un altro goccio di Peroni ed il filo che tiene insieme la loro mente si spezza, lasciandoli a vagare in un'oscurità viscosa, liquida, pece che cola dalle dita esangui e trasuda dalle labbra schiuse, dalle orecchie, dalla pelle che, improvvisamente, smette di appartenergli.

Il Sorcio è un quarantunenne ludopatico che fruga nelle tasche dei pantaloni da lavoro, cercando gli ultimi spicci rimasti. Li fa tintinnare e li infila nelle slot, uno dopo l'altro, pigiando sui bottoni fino a farsi venire i crampi alle mani tozze, finché le palpebre non diventano carta vetrata ed il labbro superiore non gli si solleva, contratto da spasmi involontari. Elia non se lo ricorda, il nome del Sorcio. Forse gliel'ha detto, tra una bevuta e qualche congettura di natura politica, ma per lui è sempre stato il Sorcio, perché al di fuori del piccolo e nocivo ecosistema che hanno creato, del loro universo disfatto, lui è un estraneo. Un uomo qualunque.

Gigi ed Andrea fanno gli idraulici, o forse i meccanici. O magari i muratori. Amano fumare il sigaro, ed ogni volta che lo allontanano dalle labbra, ciccando nel posacenere di vetro, Elia riesce a distinguere l'areola di saliva che ne scurisce un'estremità. Giocano a carte, facendo domande sul suo dente d'oro, chiedendo di sua moglie, di sua figlia, del lavoro. Elia sorride, gonfia il petto, allungando il collo levigato, e risponde sempre allo stesso modo. Il dente se l'è scheggiato con una bottiglia. Non ha una moglie e non ha intenzione di sposarsi: lui e Valentina si accontentano di ciò che hanno, trainando la baracca. Sua figlia sta bene, cresce, ha la stessa indomabile personalità della madre. Lo fa impazzire, ma la ama, perciò tiene duro e si spacca la schiena, spostando casse di frutta ed animali morti. Mette da parte qualche soldo, assicurandosi di poterle regalare qualcosa per Natale. Una bambola, una scatola di colori, un quaderno su cui disegnare. Qualsiasi cosa la faccia sorridere. Quando troverà di meglio smetterà di spacciare, per ora, però, continua a giocare a carte, seduto al tavolo, e si assicura di non farsi staccare la luce.

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