Criminal // (parte 3) Rosè (Blackpink) × y/n

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One shot richiesta da RRafeyaa

(Ultima parte)

Quella notte finii nuovamente a lavorare fino a tarda notte, dal momento che, oltre alla miriade di casi irrisolti chiusi nel cassetto, si era aggiunto un omicidio accaduto presso l'università nazionale sportiva di Seoul, nel distretto di Songpa, causato da una rissa tra quattro studenti dell'ultimo anno. Il colpevole era stato preso mentre tentava di scappare ma, come ogni criminale, anche lui insisteva sul fatto di essere innocente, cosa che era poco credibile viste le macchie di sangue sulla felpa e un livido sull'occhio.

Sembrava un caso semplice ad un primo sguardo, qualcosa che si sarebbe risolto nell'arco di qualche giorno, eppure non si trovavano abbastanza prove per incarcerare Choi Sae-joon. Grazie al suo avvocato, il quale era un professionista nel proprio campo, si era deciso che un arresto non poteva esser fatto poiché la vittima non era morta durante la rissa stessa ma solo dopo, quando era stata portato in ospedale. Così la colpa ricadeva sul dottore, il quale non aveva potuto far nulla a causa delle forti emorragie celebrali. Era estremamente difficile dimostrare il contrario, soprattutto in un caso come quello, dove il colpevole era solo uno studente; se fossimo riusciti a dimostrare in tribunale che la morte del giovane Park Dae-hyun era stata causata per mano di Sae-joon, allora l'omicida avrebbe ricevuto una sentenza grave, mentre in caso contrario, un criminale sarebbe stato assolto come innocente.

Erano ore che ci stavo lavorando, chiusa nel mio ufficio buio illuminato dalla lampada sulla scrivania, circondata da tazze di caffè vuoto e cartelle colme di documenti. Ormai quasi tutti se n'erano andati, eccetto la sottoscritta e qualche poliziotto disseminato qua e là per l'edificio, intento a fare il suo turno notturno.

《Aigoo, mi serve altro caffè o non sopravviverò questa notte》 borbottai tra me e me aggiustando la targhetta argentea con il nome appuntata sulla giacca. Le nere lettere erano messe in risalto grazie al metallo lucente.

Mi alzai allo stesso ritmo di un bradipo, con gli occhi rossi per la stanchezza e le spalle doloranti per la postura scorretta che generalmente si sviluppa lavorando da seduti, e con passo lento mi avviai verso le macchinette al secondo piano. L'ascensore non funzionava, dunque dovetti scendere per le scale.

Passando per il quarto piano, un lamento quasi impercettibile catturò la mia attenzione e la maledetta curiosità non mi diede pace fino a quando non trascinai il mio corpo sfinito per i corridoi tranquilli alla ricerca della fonte dei gemiti.

Mi ritrovai così in mezzo a celle fredde e buie, dove l'unica fonte di luce erano le lampade a led presenti nel corridoio e il silenzio regnava sovrano, inghiottendo coloro a cui la libertà era stata negata. Alcuni di loro dormivano, altri erano occupati in qualche attività insolita, altri ancora cercavano di afferrare la mia manica o il lembo della camicia per pregarmi di liberarli. La cosa più complessa del mio lavoro era rimanere impassibile davanti a determinate scene strappalacrime e tentare di non credere anche a coloro le cui azioni sembravano troppo credibili.

Arrivata in fondo al corridoio mi fermai, avendo finalmente raggiunto la mia meta. Come avevo previsto, il lamento proveniva dalla cella di Park Chaeyoung. La ragazza sedeva nello stesso angolo di quella mattina, con le ginocchia strette al petto; singhiozzava silenziosamente, come se cercasse in tutti i modi di ovattate il rumore.

Non ci mise molto ad accorgersi della mia presenza, avendo un udiro estremamente acuto, di fatto, alzò immediatamente la testa non appena sentì il rumore dei passi farsi sempre più vicino.

《Cosa diamine vuoi?》 Gridò con voce rotta dal pianto e il naso arrossato, mentre si stringeva nell'angolo nel vano tentativo di non far vedere la propria frustrazione. Appoggiò la schiena al muro scarabocchiato, voltando la testa verso di me.

K-pop one-shotsWhere stories live. Discover now