Space Girls

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Quella mattina Derek si svegliò di buon mattino: decise che avrebbe fatto una passeggiata in ricognizione del college, una rapida doccia ed infine colazione in mensa.

Si vestì di tutto punto, costatando che Stiles fosse ancora felicemente nel mondo dei sogni: una testolina castana sbucava dalle lenzuola ed un timido russare, rompeva la tipica quiete che accompagna l’alba. Il moro si accostò al letto della matricola, maledicendosi per l’istantaneo sorriso che gli comparve sulle labbra, quando notò l’espressione che caratterizzava il volto di Stiles: le labbra a cuoricino leggermente aperte, una macchia di saliva impegnava il cuscino a quell’altezza.

Derek si domandò come fosse possibile per un essere umano, concentrare su di sé tanta goffaggine: probabilmente quel ragazzino doveva essere venuto alla luce durante uno strano allineamento dei pianeti, proprio quando uno sbadato astronauta della NASA, inciampando nella base spaziale, aveva accidentalmente premuto un qualsivoglia pulsante per l’autodistruzione di un satellite.

Indeciso sul fatto di lasciare un biglietto o meno, Derek si convinse che avrebbe sbrigato la sua consueta attività fisica, prima che il suo coinquilino potesse gridare alla scomparsa: già si immaginava Stiles fornire un identikit alla polizia, in modo da affiggere un suo ritratto sui cartoni del latte in tutto il Paese…come minimo lo avrebbe descritto come una sorta di ‘uomo sopracciglia’ tutto ringhi e silenzi.

Derek passeggiò per il cortile comune, tentando di inspirare dell’aria pulita, che non odorasse dei micidiali calzini di Stiles. Riconobbe Isaac su di una panchina in compagnia di Erica ma si limitò a salutarli da lontano: chissà che diavolerie erano in grado di escogitare quei due assieme (sinceramente non era interessato a scoprirlo).

La sua corsa si arrestò solamente in prossimità dell’area più militare del campus. Vi sorgeva una scultura commemorativa, dalle sembianze di un albero, dalle radici ben in evidenza.

“Ciao Laura…” borbottò un po' a causa del fiatone e un po' per via della tipica commozione che, anche a distanza di anni, gli velava la voce.

Quella installazione non era altro se non un memoriale per la morte della ragazza, studentessa del medesimo college del fratello. Essendo per natura la famiglia Hale estremamente riservata, seppur apprezzando vivamente il gesto del preside, avevano richiesto che non vi fosse incisa alcuna targa con il nome della fanciulla. Tra gli studenti si mormoravano le ipotesi più assurde: che quell’albero fosse dedicato alla giornata internazionale della Terra, fino al fatto che fosse l’ennesima trovata del preside per incrementare il buon umore tra le classi.

“Mi dispiace di non essere venuto a salutarti prima ma sono stato parecchio impegnato ma immagino che questo tu lo sappia già” si accomodò sull’erba.

“Vorrei tanto che tu fossi qui: doto l’episodio dell’incendio, mi hanno trasferito nella camera di un ragazzino estremamente esuberante e chiacchierone. Certe volte mi domando quanto la mia pazienza sia in grado di sopportare.

Ho così tanti pensieri per la testa: sono prossimo alla laurea, quel gruppo di ragazzini che mi ronzola sempre attorno ed il pensiero che tu ed i nostri genitori, non possiate esserci, mi distrugge” fece una breve pausa dove si guardò attorno con circospezione, volendosi assicurare di non essere udito da orecchi indiscreti.

“Sto cercando di fare il mio meglio con Cora ma sono consapevole che non sarò mai un fratello maggiore tanto capace e presente, come lo eri tu per me” mormorò, ricacciando a forza le lacrime indietro.

“Non pretendo certo di disturbarti ma vorrei che tu mi mandassi una sorta di segnale che la vita mi riserva ancora qualcosa per cui vale lottare” avrebbe volentieri proseguito quel monologo con la sorella, se solo il cellulare non avesse preso a squillare.

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