Capitolo 12

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«Bene,bene, bene. E dunque... eravate a cavallo con mio marito?» echeggiò Jocelyn.
Mi aveva fatta chiamare in fretta e furia dopo il mio rientro. Mi ero precipitata dall'ingresso fino alla scalinata per poi divorare in pochi secondi il corridoio che mi separava dalla Sala in cui la principessa mi stava aspettando. Un interrogatorio da parte sua me lo sarei aspettato, ma di certo non una piazzata del genere.
Mi trovavo nella Sala grande, al centro. Ero sola con lei, che aveva dato inizio al suo terzo grado dopo avermi incenerito, sbriciolato. Migirava intorno come un alligatore.
Non avevo trovato riparo alla raffica della sua gelosia. Mi sentivo come su di una zattera in mezzo al mare, in balia di uno squalo affamato di cui ancora non conoscevo le intenzioni.
Mi ribalterà per poi mangiarmi o scenderà negli abissi, lasciandomi intatta?
Percepivo la mia persona insignificante, sminuita ancora di più dai vestiti umidi e dagli stivali sporchi di terra, che avevano lasciato orme marroni qua e là per la stanza.
«Allora, non rispondete? Cosa ci facevate sul cavallo insieme a mio marito?» sollecitò in preda al nervosismo.
Feci un respiro e poi ribattei, non certa tuttavia della mia risposta.
«Il principe mi ha offerto di tornare con lui a cavallo per non dover fare il tragitto di ritorno a piedi. La pioggia Vostra Maestà...» le risposi con un filino di voce, prestando attenzione a non rivolgerle mai lo sguardo ma ad averlo sempre ben puntato al pavimento.
«Che sciocchezza! Che calunnia! Volete farmi credere che sia stato il principe ad offrivi un passaggio e non voi a chiederlo?»
«Ve lo giuro, Vostra Maestà.»
Fece arrivare uno schiaffo sulla mia guancia che fece così male da costringermi a portare le mani sul volto. Sobbalzai indietro per lo spavento e l'umiliazione.
«Questo mi sembra un oltraggio bello e buono! Che ragazzina insolente che siete, mio marito non farebbe mai una cosa del genere! Da che mondo è mondo un monarca si avvezza a tali cose? State gettando del fango sulla figura di un sovrano che ripugna comportamenti del genere, sapete?» la principessa mi roteava attorno come un leone che gira attorno ad una preda, per studiarla, capirne il punto debole e poi divorarla.
«E ditemi, per quale motivo provenivate dalla stessa direzione?» continuò, non soddisfatta del mio silenzio.
«Perché entrambe avevamo trovato riparo dalla pioggia presso il tempietto dell'Amore.»
«Quindi non solo siete tornata con lui, ma avete trascorso del tempo in compagnia di mio marito!» rispose stizzita.
«Così è stato, Vostra Maestà, e non lo nego.» mi domandai se avessi fatto bene a dire la verità o se sarebbe stato meglio mentire.
«E vi è piaciuto?»
Quella domanda mi parve assurda. Era evidentemente caduta preda di una gelosia accecante. Alzai gli occhi e la guardai incredula.
«Come, Vostra Maestà?»
«Ho chiesto se vi è piaciuto!» urlò ogni parola successiva con intensità superiore a quella precedente, con una forza tale che il polmoni potevano esploderle da un momento all'altro. I suoi occhi chiari sembravano diventati di un blu scuro e la sua pelle tirata dall'ira.
«Non ho avuto neanche il momento di riflettere a una cosa del genere e, se un minimo possono contare le mie parole, non mi sarei mai permessa. Il mio unico desiderio era che terminasse di piovere.»
Come potevo dirle la verità. Come potevo confessare che sì, mi era piaciuto, e che avrei desiderato continuasse a piovere per qualche altra ora, magari per tutta la notte.
Quello fu esattamente il momento in cui iniziai a chiedermi che cosa mi stesse succedendo. Per qualche inusuale motivo iniziavo a provare piacere a trascorrere del tempo con un uomo sposato e per di più principe del luogo in cui vivevo. Mi era capitato più volte nei mesi trascorsi di vederlo in sogno e fino a quel momento avevo ritenuto dipendesse dal fatto che vivevo sotto il suo stesso tetto.
Era normale tutto ciò? Potevo non essere considerata colpevole? Come potevo non vergognarmi di quei pensieri così immondi e infedeli? Non era questo l'insegnamento con cui ero cresciuta.
Per la prima volta diedi maggior importanza a quelle sensazioni e, se avessi avuto il modo, li avrei approfonditi e analizzati minuziosamente per dare anche una risposta al mio repentino cambiamento, ma non mi fu possibile perché l'inquisizione di Jocelyn mi riportò, di nuovo, tra quelle quattro mura.
«Non è questa la risposta che stavo cercando.» la sua voce rimbombò alle pareti, ingenerando una piccola eco.
«È l'unica però che posso darvi.»
"Che considerazione sciocca e banale. E come si è comportato con voi?»
«Con l'educazione e la gentilezza che sono sempre stati tipici della sua persona»
«E basta?»
«Assolutamente, non ho niente altro da aggiungere. Cosa dovrebbe esserci di più, Vostra Maestà, se non qualcosa che andrebbe a colpevolizzare un monarca privo di macchia?»
Purtroppo fu quello il momento in cui la possessività per suo marito cominciò a parlare per lei.
«Lo avete toccato?»
Il respiro mi si fece mozzo.
Come avrei potuto dirle che in realtà era stato lui a toccarmi e che eravamo rimasti uniti per tutto il tempo, e che ci eravamo chiamati per nome, e che in quel momento ci eravamo sentiti come due persone non appartenenti a nessun rango.
«Non mi permetterei mai, Vostra Grazia.»
In quel momento la porta della stanza si aprì.
Jocelyn si girò e la visione che si presentò davanti ai suoi occhi parve piacerle.
Successivamente mi girai anche io.
Era proprio l'oggetto di tale gelosia.
Il cuore iniziò a battermi forte. Se avessi avuto un interruttore per fermarlo lo avrei azionato. Cercai di reprimere in qualunque modo quelle sensazioni che provavo ma non sapevo come fare, dal momento in cui non le avevo mai sperimentate. Ogni sforzo si rivelò vano, neanche l'inquisizione di Jocelyn era riuscita a placare il battere irrefrenabile nel mio petto.
Pensai a Daisy e se provasse questo anche lei quando si immaginava vicino a Thomas Forks.
Mi sentii in imbarazzo a paragonarmi al principe che nel frattempo si era cambiato, mentre io ero ancora vestita di terra e fanghiglia.
Indossava una giubba rossa scarlatta con bottoni dorati, una camicia bianca con polsini e colletto a sbuffo, pantaloni abbinati lunghi fin sopra le ginocchia, i polpacci coperti con calze bianche e ai piedi delle scarpe di un camoscio marrone.
«Mio caro!» esclamò Jocelyn, con la vocina di una bambina che aveva da poco ricevuto un giocattolo nuovo.
«Jocelyn, cosa sta succedendo qui?» il principe inizialmente si fermò per scrutare la situazione, poi procedette a passi lenti. Di certo non si aspettava di vedere me e sua moglie nella stessa stanza da sole dopo quello che era successo.
«Ah sì beh... ho avuto lo spiacere di osservare una scena che non ho molto gradito.»
«Sarebbe?» domandò lui.
«Ho osservato questa domestica cavalcare insieme a voi. Immagino, caro, vi abbia fatto una tale pena da costringervi a offrirle un passaggio. So bene che non siete solito fare queste cose...»
Se qualcun altro fosse stato presente in quella stanza avrebbe notato che Jocelyn, nel mentre proferiva quelle parole, era veramente convinta di ciò che diceva, scuoteva il capo in qua e in là a segno di incredulità e di vergogna per il marito, che si era trovato costretto a piegarsi ad una formalità di così basso spessore.
Dal basso della mia ingenuità non capivo cosa ci fosse di così tanto scabroso.
«In realtà sono stato io ad insistere affinché lei venisse con me.» Carlyle proferì quelle parole con un'encomiabile trasparenza e con un'invidiabile sicurezza, propria di chi non ha nulla da nascondere e nulla di cui vergognarsi.
Sua moglie fuoriuscì dal suo disincanto e assunse un'espressione sbigottita. Pareva avesse visto un mostro.
«Perdonate?»
«Avete sentito bene, mia cara. Non l'avrei di certo lasciata all'aperto con il rischio che tirasse giù un temporale.»
Jocelyn iniziò a boccheggiare come un pesce quando viene pescato ed è in assenza di ossigeno.
«Non avete pensato a me?»
«Per cosa?»
«Mi avete mancato di rispetto!»
«Per il semplice fatto di aver offerto un passaggio a una domestica che andava nella mia stessa direzione?»
«E anche per esservi fatto avvinghiare dalle braccia di un'altra donna, sguattera per di più! Che vergogna che mi fate!» mise le mani alla vita e iniziò a camminare in lungo e largo nella stanza, a passi frenetici.
«Jocelyn, per l'ennesima, volta è l'esagerazione a parlare per voi. Era meglio lasciarla cadere da cavallo?»
«Decisamente!» urlò.
Dopodiché si voltò verso di me, socchiuse gli occhi e mi puntò l'indice con fare incriminatorio.
«Sguattera! Voi la dovete pagare per questo! Per aver desiderato mio marito!»
Barcollai dallo spavento «Vostra Maestà, ma che cosa state dicendo!» mi chiesi se quei desideri fossero così evidenti, se avesse qualche potere magico per leggere le menti.
«La pura verità. Signorina Lyne!» si voltò verso la porta per chiamare un'altra domestica che entrò immediatamente portando un secchio e uno straccetto della grandezza di una mano probabilmente. Mi chiesi se miss Lyne fosse stata ad ascoltare tutto il tempo in attesa del segnale.
La domestica poggiò il secchio e lo straccio ai piedi di Jocelyn, fece l'inchino e uscì dalla stanza in pochi secondi.
«Pulite il pavimento! Vi concedo un'ora! E ringraziate che non vi sbatta fuori da questo palazzo! Un'altra volta e rimpiangerete di esservi messa contro di me!» detto questo si girò e uscì dalla stanza. Fece sbattere la porta e il rumore metallico dei cardini riecheggiò.
Avrei voluto ribellarmi, ma non potevo. La paga successiva sarebbe arrivata nel giro di qualche giorno e quei soldi erano destinati alla dote di mia sorella. Di certo non avrei protestato, avrei solo eseguito gli ordini e con dedizione.
Lo avrei sempre fatto.
Rimasi da sola con Carlyle un'altra volta. Non sapevo se fosse un bene, non dopo l'umiliazione che avevo subito.
Mi misi in ginocchio, sollevai le maniche fino ai gomiti e presi lo straccio, o quello che mi era stato dato al suo posto.
Lo immersi nell'acqua più volte affinché si impregnasse per bene e poi lo strizzai.Mi misi così all'opera, per evitare di sprecare ogni prezioso minuto di quell'ora.
«Sono mortificato. Avrei dovuto saperlo che sarebbe andata a finire così.»
Con la testa sempre china sul pavimento risposi «Vostra Maestà, voi non avete colpa. Sarei dovuta tornare per conto mio.»
«Questo fine settimana è il mio compleanno!» disse inaspettatamente il Principe.
Smisi di passare freneticamente lo straccio sulle mattonelle di marmo e mi girai verso di lui.
«Vorrei foste di servizio quella sera. Sarà una serata di gala ed è l'unico modo che ho per sdebitarmi con voi.» mi confidò dolcemente.
«Non dipende da me, Vostra Maestà. Immagino che dopo oggi la principessa sarà abbastanza restia a lasciarmi nella vostra stessa stanza. Mi considererà una sorta di meretrice o non so cosa.» ribattei.
Distolse l'attenzione dall'esterno e poi si piazzò a qualche metro da me «Infatti parlerò con Sir Jacques e vi farò mettere il turno quella sera.»
Alzai lo sguardo e gli sorrisi.
«Per quale motivo insistete tanto che io sia presente quella sera? Ve l'ho detto, voi non avete colpa!»
«Perché così desidero e ciò che desidero viene fatto.» affermò con polso.
«Se è questo che preferite Vostra Maestà.»
«Vi farò arrivare notizie da sir Jacques. Ora vado, buona giornata Anthea.»
«Buona giornata a voi, Vostra Maestà!»
Il principe uscì e io ripresi a pulire con più vigore di prima.
Il mio cuore, nonostante tutto, gioiva.

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