Capitolo 4 - prima parte

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Non volli crederci fino alla fine. Quello sarebbe stato il giorno in cui la mia vita avrebbe ricevuto una svolta definitiva: avrei aiutato mia sorella a coronare il suo sogno di affetto e nel contempo avrei iniziato a mettere le fondamenta per la mia indipendenza. Non avevo mai svolto un lavoro retribuito, alle dipendenze di qualcuno, pertanto il solo pensiero di essere assunta mi causava non poca preoccupazione. L'agitazione e la paura non erano però giustificazioni valide per rinunciare o per non provarci nemmeno. La mia paura era come un muro: alto, costruito con mattoni ben spessi e in apparenza insormontabile ma che avrei buttato giù nel momento in cui avrei voluto, nel momento in cui mi sarei riconosciuta più forte di quella sensazione che non poteva avere fondamenta logiche. Nella mia immaginazione pertanto fu necessario munirmi di piccone e martello per iniziare a sgretolare, poi a spaccare e infine a buttare giù quella barriera invalicabile.
Quella proposta mi era giunta un po' inaspettata. Non ero sicura della buona riuscita ma l'idea di andare a lavorare a Corte mi stuzzicava. Prima di accettare o meno l'incarico - nel caso in cui fossi stata io a essere quella scelta - avrei dovuto ottenere informazioni su cosa mi aspettava.
Come era il principe? Come era la sua consorte? Come era il Palazzo? Che maniere avrei dovuto adottare? Avrei potuto guardare al principe negli occhi mentre mi rivolgevo a lui? La mansione che avrei ricoperto avrebbe richiesto un minimo di istruzione?
Sì, perché purtroppo quello era un mio punto debole. Né io né Daisy eravamo in grado di leggere e nemmeno di scrivere e se quando eravamo piccole la cosa non ci destava alcuna preoccupazione, giunte a quell'età era una grande mancanza.
L'istruzione era sempre stata privilegio del genere maschile e istruire una donna senza alcun titolo avrebbe comportato spreco di tempo ma soprattutto di risorse. Per le donne del popolo era stato programmato un destino molto lineare: matrimonio, figli e famiglia. L'esistenza degli uomini era invece molto più variopinta. La quotidianità maschile poteva spaziare dal lavoro nei campi a quello in politica. Presi l'esempio del principe di Sommerseth , immaginai fosse lui a dettare ordini, a decidere e a dispensare sentenze.
Al suo posto non c'era una donna, o non ci sarebbe mai stata.
Per un periodo credetti fosse giusto. Era scontato pensare fosse normale e legittimo che l'uomo ricoprisse sempre un posto più in alto rispetto alla donna, dal momento in cui in questo risiedeva il giusto. D'altronde era il contesto in cui ero nata ad avermi impartito questo insegnamento.
Eppure con il crescere questa verità iniziò poco a poco a sgretolarsi. Sebbene i miei genitori non ci mandarono mai a scuola fu premura di mio padre trasmetterci quel minimo di formazione che a lui era stata trasmessa durante la giovinezza. Imparammo a scrivere qualche lettera - soprattutto le vocali - e di conseguenza a saperle riconoscere se scritte da qualche parte. Ricordo che una volta chiesi a mio padre perché lo facesse e lui mi rispose dicendo che «agli occhi di Dio siamo tutti uguali». Quell' affermazione fece luce sul mio buio e da lì mi convinsi che se per noi donne non era stata prevista un minimo di erudizione non era perché non ce lo meritassimo ma, semplicemente, perché era stato frutto di una decisione sbagliata.
A chi dare la colpa? Forse a nessuno. Colpevolizzare non avrebbe avuto senso, piuttosto sarebbe stato utile cambiare ciò che poteva essere cambiato.
Quella mattina sarei andata in paese ad acquistare il vestiario adatto per l'occasione del giorno seguente. Volevo fare bella figura e volevo provare a distinguermi da tutte le altre persone, che come me, ambivano a quel posto.
Mi diressi verso il comodino che era vicino al mio letto e dopo aver dato uno sguardo intorno, per accertarmi che nessuno fosse nella mia stanza, tirai il piccolo cassetto. All'interno c'era un ritaglio di pelle di montone ripiegato e tenuto insieme per i lembi da uno spago, dentro del quale custodivo il denaro che in occasione di ogni compleanno nonna Rosalie mi dava in regalo. Questi usali per comprarci ciò che vuoi, mi diceva ogni volta. Fino ad allora però l'occasione non era mai giunta. Dato che fino a quel momento non avevo speso neanche uno scudo, il denaro si era accumulato di volta in volta fino a quando era diventato un piccolo gruzzolo che in un futuro avrei utilizzato, per chissà cosa.
E quale occasione migliore di questa?
La nonna aveva iniziato a regalarmi il denaro piuttosto che oggetti a partire dai miei quattordici anni, età in cui si era ritenuti abbastanza responsabili da essere in grado di gestire i propri risparmi.
Non ricordavo con esattezza a quanti scudi ero arrivata così, con il fare di chi sta per aprire un forziere del tesoro, sollevai il lembo di pelle.
«35 scudi» mormorai. Non erano chissà quale grande ricchezza ma se li avessi spesi tutti avrei sicuramente acquistato un bel completo.
Dopo aver messo il mio borsello dentro la bisaccia, mi infilai il cappotto e scesi in cucina ad avvertire mia madre.
«Vado a fare acquisti per domani, sarò di ritorno per ora di cena».
Una volta che ebbe recepito il messaggio, uscii.
Il tragitto per il centro abitato non era dei migliori e soprattutto era molto lungo. A dispetto di ciò una volta raggiunti gli altipiani di Cox si sarebbe visto, in lontananza, il mare.
Senza perder tempo mi incamminai. Per accorciare un po' la strada passai per un campo di grano di cui non avevo mai scoperto chi ne fosse proprietario. Al vederlo incolto ci rimasi un po' male, avrei tanto desiderato camminare in mezzo alle spighe alte e dorate e sentirmi piccola al contempo. Dopo qualche minuto raggiunsi gli altipiani e, come da consuetudine, cercai il mare. Balenò il ricordo di quando nonna Rosalie portò lì me e Daisy. Il vedere la vasta distesa di acqua salata all'inizio aveva destato in me un po' di smarrimento ma poi, dopo averci preso un po' di confidenza, fu per me una grande scoperta tanto che nei giorni a seguire espressi insistentemente il desiderio di tornarci.
«Signorina Gleannes!» udii tutto di un colpo.
Mi voltai nella direzione di provenienza della voce e notai un calesse con a bordo un cocchiere e una donna di mezza età che dimenava in aria il braccio per attirare la mia attenzione.
«Signora Bell! Che piacere vedervi!» le sorrisi, portandomi una mano sopra gli occhi per coprirmi dai raggi del sole.
La donna fece segno al cocchiere di fermarsi. Forse l'uomo frenò il cavallo in maniera troppo brusca perché l'animale si sollevò sulle sue zampe posteriori, brandendo in alto quelle anteriori. Le ruote del calesse iniziarono a sfregare con forza sul terriccio, alzando una sottile nube di polvere.
Nel frattempo la signora Bell era rimasta a osservare, agitando le sue braccia di qua e in là per tentare - invano - di tranquillizzare l'animale. Buono! Buono! diceva. Come se il cavallo fosse stato in grado di capire. Dopo essersi resa conto che l'animale, forse, non avrebbe mai recepito il messaggio si voltò verso l'uomo e, agitando ancora di più le braccia, sbraitò «Per favore voi! Fate qualcosa! State aspettando che questa bestia mi faccia cadere in terra?»
«Oh! Oh!» brontolò l'uomo, con l'intento di riportare l'animale sotto il suo controllo. La fiera di tutta risposta lanciò un lungo nitrito, a segno - magari - di aver recepito il messaggio.
La signora Bell si ricompose un attimo prima di parlare, si riaggiustò i capelli e si schiarì la voce.
«Allora Miss. Gleannes, dove siete diretta?»
«In centro, madame.»
«Uh! Che causalità! Anche io vado nella stessa direzione! Vi prego, lasciate che vi offra un passaggio.»
«Vi ringrazio, è molto gentile da parte vostra!» le tesi la mano per farmi aiutare a salire e lei, tese la sua.
Mi sedetti accanto a lei e questa fece cenno al cocchiere di ripartire.
«Allora ditemi, che cosa state andando a fare in centro? Se posso chiedere ovviamente...»
«Certamente, non c'è nulla da nascondere! Ho saputo che la famiglia reale è alla ricerca di personale e sono intenzionata a propormi. Sto andando in paese per cercare l'abbigliamento opportuno per domani...sperando che questo possa avere un impatto positivo su chi avrà il compito di selezionare i favoriti.« Avrei voluto aggiungere «e di questo ne sono a conoscenza solo perché mio padre ha origliato una sua conversazione». al solo pensiero mi venne spontanea una risatina che smorzai subito per non far pensare alla signora Bell che stessi ridendo di lei.
«Oh perbacco, davvero? Che bella iniziativa la vostra. Con tutta la gente che ci sarà! E con il temperamento non molto gradevole della principessa consorte!»
All'udire quelle parole deglutii tutta la saliva che avevo in bocca. «Che cosa intendete dire con questo?»
«Beh» fece una risata «che generalmente tutti gli abitanti di Sommerseth non aspettano altro e sa...questi eventi non avvengono molto spesso...»
«Perdonatemi se vi interrompo» sperai in cuor mio di non esser sembrata maleducata «ma mi riferivo alla principessa consorte, che cosa intende con temperamento non molto gradevole
«Mia cara, se verrete scelta voi, e che il buon Dio lo voglia, sappiate che gli inconvenienti maggiori verranno proprio da Jocelyn Kynaston. Il principe e sua moglie sono sposati ormai da anni e il loro matrimonio...beh... diciamo che non è contemplato tra quelli più felici. Alcune voci dicono che la loro unione sia stato scelta a tavolino, prima ancora che entrambe nascessero, e che dunque a nessuno di tutti e due sia stata data la possibilità di dare o meno il loro consenso. Ciò nonostante si sostiene che Jocelyn alla vista del principe Carlyle sia rimasta folgorata all'istante, cosa che non può dirsi altrettanto del principe. Forse Sua Maestà non è mai stato davvero innamorato della moglie...ma queste, mia cara, sono solo voci.»
«Che dispiacere, chissà come deve soffrire tutt'ora quella povera donna.»
La signora Bell scoppiò in una fragorosa risata «Mia dolce Anthea, un giorno forse non sarai così dispiaciuta per quella donna...volevo dire...per Sua Maestà» e fece capolino con la testa come se la principessa si fosse materializzata all'istante di fronte a lei.
Provai un po' di dispiacere per quella donna. Quando l'amore non è reciproco la sofferenza è più attutita, ma quando invece proviene da una delle due parti e dall'altra non è corrisposto, allora lì l'afflizione è inevitabile.
Nel frattempo il cavallo galoppava senza sosta e quasi non mi resi conto di esser giunta a metà strada. Pensai che quando la conversazione è piacevole si è soliti non prestare attenzione al tempo che passa.
«Dunque signora Bell, che cosa mi consiglia di fare per essere quantomeno notata? Immagino che la concorrenza sarà molto agguerrita e che ci saranno tanti altri aspiranti anche più impratichiti di me. Fino ad oggi mi sono limitata a svolgere le faccende in casa mia, ma so bene che lavorare a Palazzo significa apprendere una disciplina e soprattutto un metodo, cosa che io non ritengo di avere. La cosa mi sconforta molto ma sono altrettanto determinata a ottenere questo posto...»
Notai che Mrs. Bell mi fissava attentamente mentre parlavo, quasi intenta a carpire ogni mia singola parola, mentre io avevo lo sguardo rivolto verso il basso, un po' presa dalla malinconia che probabilmente le mie buoni intenzioni sarebbero rimaste solo propositi.
«Anthea» incalzò lei con tono materno «qual è la ragione che vi spinge a questo?»
Alzai lo sguardo e la fissai, colpita dalla dolcezza del suo tono.
«La mia ragione? Mia sorella si sposerà a breve e voglio procurarmi per lei una buona dote affinché non si presenti a suo marito a mani vuote...e anche per un altro motivo.»
«E quale sarebbe, mia cara?»
«Desidero tanto acquistare una piccola fattoria e mantenerla con i miei sforzi. Sapete signora Bell, alla mia età ho bisogno di acquistare la mia indipendenza e non ho più intenzione di vivere sotto al tetto dei miei genitori. Questa potrebbe essere l'occasione giusta e penso che, sebbene all'inizio fossi molto contraria a che mia sorella si sposasse, adesso penso, quasi per volere del destino, che questa opportunità non sia sopraggiunta per caso.»
«Mia cara, allora ascoltatemi bene: fatelo perché desideri raggiungere i tuoi obiettivi. Sono dell'idea che quando ogni fibra del nostro corpo si tende per il raggiungimento di un qualche scopo allora tutto l'universo si muove affinché ciò accada.»
Spalancai gli occhi e feci un sorriso, il più vero che avevo fatto fino ad allora. Quello mi avrebbe aiutato a essere più tranquilla e magari aveva ragione, bastava desiderare veramente una cosa per ottenerla.

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