Chasing The Dragon

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Questo capitolo stava venendo eterno; in realtà, lo è già ma questi sono dettagli. Così, per evitare di portarvi un mega-capitolone di 15-16k parole, (e tagliare introspezione e azione) l'ho diviso. Qualcuno mi faccia dono della capacità di sintesi, abbiate pietà di me.

Buona lettura!





Giovedì 19 aprile 2018, fra le 15:00 e le 16:30 del pomeriggio

Si guarda allo specchio e si vede diverso. Ha perso peso, ma quel maglioncino borgogna in cashmere riesce comunque ad abbracciare il suo corpo e non a farlo sembrare enorme sotto felpe e pullover oversize; quella lana morbida è letteralmente quel poco che è riuscito a nascondere dal marito, l'unico capo d'abbigliamento che gli piace che ancora sopravvive nel suo guardaroba, ben nascosto nel cassetto della biancheria intima. Metterlo in valigia per stare a L'Aia era stato necessario, perché Levi era sicuro che pure quel piccolo agglomerato di tessuto avrebbe sofferto nel rimanere a respirare l'aria mefitica e asfissiante dell'appartamento di Rotterdam; portarlo con sé era stato una specie di dovere morale, ma mai si sarebbe sognato di indossarlo di nuovo. La stoffa trema appena sotto i battiti martellanti del suo cuore, così come i palmi aperti che vi passa sopra; il vecchio e unico orologio da polso che possiede pare talmente vistoso e pesante da scavargli la carne.

È esattamente morbido come lo ricordava, odora di chiuso ed è impregnato della fragranza del pot-pourri che è solito tenere in ogni scomparto della cassettiera del guardaroba, ma non se ne cura. Lo indossa e si sente un po' più sé stesso, meno un fardello per il mondo. Quel colore è appariscente e gli piace il modo in cui crea contrasto con la carnagione pallida e i capelli nerissimi, una nuance che pare creata apposta per lui; sa che osa troppo quando si concede uno spruzzo di acqua di colonia, fredda sulla carne morbida e immacolata del collo. Le dita gli tremano mentre tiene la boccetta incriminata, la guarda come se fosse veleno, rimpiange di essersene permesso qualche goccia.

Cosa sto facendo?

È quella l'unica eco che gli rimbomba fra le tempie, talmente martellante da insonorizzare il rumore degli alti pensieri come spugna fonoassorbente, capace di disorientarlo e di farlo dubitare. Cosa sta facendo? Dove pensa di andare coi capelli pettinati, indossando quel maglione, col profumo addosso? Dove pensa di poter andare, cosa pensa di poter fare? Che colore strano che hanno i suoi occhi, quanto è stravolto il suo viso, un insieme di sguardi slavati e assenti e labbra contratte in una smorfia sottile. Forse ha deciso di mettere l'acqua di colonia perché il puzzo della paura attorno a lui è troppo forte, talmente pestilenziale e sulfureo che teme che gli altri lo sentano, che appena abbandonerà quella casa da solo, verrà assalito da troppe cose indicibili.

Dove, ma dove vuole andare in quel modo che lo fa sembrare una caricatura del vecchio sé stesso e con gli occhi che cominciano a minacciare pioggia? Fuori splende un Sole meraviglioso che lo renderebbe ancora più misero e nero. Cosa crede di poter fare?

Quanto è stato limpido il sorriso di Kuchel quando ha visto il bouquet immenso che Erwin gli ha fatto arrivare; oh, quanto le si è illuminato il volto per la commozione perché Erwin è perfetto, è prezioso, siete così fortunati.Ma dov'è la fortuna? Il collo di Levi non è livido, ma la sua anima è completamente violacea e martoriata dagli ematomi. Cosa c'è di bello in fiori che nascondono minacce, in petali innocenti che portano parole troppo crude e pesanti incastrate dentro, in premure che nascono da sbagli e da grida, da dita violente, da paura tachicardica, da segni indelebili. Quei fiori sono arrivati puntuali, se li è trovati la mattina dopo sul tavolino della cucina e se avesse voluto confessare a sua madre quanto l'amore fa male, il suo volto commosso glielo ha impedito. E poi c'era Mikasa, Mikasa che aveva storto il naso e gli aveva chiesto la sera stessa di quell'orrido dono se ci fosse qualcosa che non andava, del perché fosse stato l'unico a portare addosso tanti granelli di sabbia la domenica che era andato col marito a guardarla allenarsi, che l'aveva implorata di raccontargli perché i suoi occhi fossero così spenti e lontani, i movimenti delle iridi persi e scoordinati verso qualcosa che non c'è, una misera fiammella inesistente a cui aggrapparsi per non perdersi.

Pitch Black - Ereri/RirenWhere stories live. Discover now