Capitolo III - Cuori Pulsanti [Parte due]

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"Giorni sprecati, notti insonni

non vedo l'ora di vederti di nuovo"

- White Snake, Is this love

Era la quinta tappa del tour. Gli Eclipse suonavano allo Story, nella zona sud di South Beach, a Miami.

Sembrava una normalissima serata, finché Elodrian non aveva avuto una crisi. Mi confermarono che crisi del genere avvenivano spesso, ma di solito non in tour. In tour era carico, concentrato, un monaco zen che non distoglieva lo sguardo dall'obiettivo: far andare in visibilio il pubblico.

La regola era niente droga prima di salire sul palco, al massimo un po' di erba per calmare i nervi, nulla di più.

Ma il ragazzo si era chiuso in bagno e aveva iniziato a prendere a testate il muro, segno che o era strafatto, o c'erano altri problemi.

«Fateli stare zitti, dannazione! Dite loro di chiudere quelle fottute bocche!»

Era sobrio, ne sono certa, eravamo stati insieme tutto il pomeriggio e non aveva toccato nemmeno una goccia d'alcol o nessun'altra sostanza a scopo ricreativo.

Non avevo idea di quali voci blaterasse, diceva di non riuscire a udire nulla se non le loro risate, le loro accuse.

Jack mi spiegò che Elodrian era bipolare. Non pareva convinto di ciò che diceva, ma non avevo motivo per non credergli. Rimasi sconcertata, e provai un'istintiva pena per il cantante.

C'era un altro problema: rischiavano di far saltare lo spettacolo.

«Prendimi a pugni, cazzo! Prendimi a pugni finché non si placano queste voci dentro la testa» tuonò verso Ylio, afferrandolo per il colletto dopo essere uscito dal bagno come un missile.

Gli si era aperta una ferita sulla fronte, il sangue gli colava fino al mento.

Il batterista rise, e l'altro lo lasciò andare.

Scoppiò a piangere, era una scena grottesca e patetica. Sentii l'impulso di stringerlo a me, di cullarlo. Ero sempre stata una ragazza materna, se così si può dire. Empatica, incapace di rimanere indifferente di fronte alle manifestazioni di dolore.

E il cantante stava soffrendo, lo potevo avvertire su di me.

«Datemi cinque minuti, cazzo! Gli Aerosmith si fanno attendere sul palco, no? Noi siamo sempre degli orologi! Che aspettino cinque maledetti minuti, proprio come aspettano gli altri, dannazione!»

Elodrian prese un tavolino e lo scaraventò contro un muro, rompendolo a metà.

Mi spaventai talmente tanto che mi nascosi, per puro istinto, dietro al separé.

Tutti uscirono dalla stanza, il manager che scrollava le spalle, senza speranza. Aveva creduto davvero di aver incontrato dei musicisti non problematici.

Sarei dovuta sgusciare pure io dal mio nascondiglio, però mi sentivo paralizzata. Mi ricordava dei momenti in cui i miei sbroccavano di brutto, e delle risse a cui avevo assistito nei bar che di tanto in tanto frequentavo. Ero terrorizzata, tremavo e non sapevo che fare.

Elodrian aveva smesso di piangere, si fissava allo specchio, stringeva i pugni e in più di un'occasione pareva volerlo rompere con un colpo ben assestato.

Si diede due ceffoni, si conficcò le unghie nella carne. Rise, pianse un altro po', sospirò.

Lo vidi afferrare con mani tremanti il rossetto e portarselo alle labbra.

Diceva sempre che non riusciva a osservarsi senza avere un po' di trucco addosso. Si sentiva meglio, si sentiva un'altra persona, diversa; un estraneo con cui poteva conversare, il riflesso di qualcosa di lontano rispetto alla sua vera natura.

Sangue di GiudaWhere stories live. Discover now