Capitolo VI - Istinti [Parte Prima]

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"Non c'è nulla di pericoloso

non sento alcun dolore

devo cambiare

sai di aver ragione quando vai fuori di testa"

- Ted Nugent, Cat Scratch Fever 


A Elodrian non piaceva quando gli si diceva di no.

Non capitava spesso, era venerato dalla maggior parte delle persone che incontrava lungo il suo cammino, si nutriva di quell'ardore, del desiderio che i fan trasudavano da ogni poro della pelle.

Peccato che io, quella sera, avessi bevuto un drink in più, giusto quel tanto per rendermi più sfrontata, schietta.

Tanto da riuscire a mettere gli occhi sulla bella cameriera dal fondoschiena scolpito nel marmo che mi inviava cuoricini con lo sguardo da una settimana, creandomi un diversivo al suo: «Vieni a casa con me, dopo il lavoro?».

Fu trionfale leggere la delusione, lo stupore, nel suo sguardo famelico quando risposi che no, avevo di meglio da fare. Avevo già un altro letto da scaldare.

Non mi piacevano le donne, in realtà, ma avrei infilato la lingua fra i denti di quella coetanea dai capelli corvini fino all'alba, piuttosto che accontentarlo.

Ma devo bloccare sul nascere ogni fantasia sull'avventura lesbica che sta prendendo forma in voi, perché non accadde nulla, quella sera. Kiki, la cameriera, mi diede buca. O almeno così credetti. 

La aspettai fuori dal locale finché non mi si consumò la seconda sigaretta fra le labbra, poi me ne andai a casa.

Pensavo che se ne fosse dimenticata, che avesse cambiato idea, che l'avessero già abbordata o che fosse sbronza.

Non mi importava, il mio obiettivo era stato raggiunto: sbattere in faccia ad Elodrian il fatto che non ero un suo giocattolo, che non avevo bisogno di lui.

In realtà, l'astinenza bruciava da pazzi, ma resistevo.

Non avrei certo perso la mia sanità mentale dietro a uno psicopatico. Perché lo era, e anche dopo che seppi ogni cosa, dopo che venni a conoscenza delle sue origini, della sua storia, della sua natura, non potei giustificarlo.

Se Kiki è morta è colpa sua.

Mi raccontò che, dopo avergli girato le spalle ed aver sculettato lontana da lui, si rivolse a Tenebraum: «La vedi quella cameriera? Quella col caschetto scalato e il neo sopra il labbro».

Il bassista aveva aguzzato la vista, annuendo: «Sì, un bocconcino».

«Falla sparire» sentenziò Elodrian, a denti stretti.

Il compagno fece una smorfia, portandosi il Cosmopolitan alle labbra e bagnandole appena: «Mah, no me gusta mucho, troppo bassa».

Il biondo grugnì: «Non ti sto chiedendo di farci uno dei tuoi sporchi giochetti sadomaso. Ti ho detto: falla sparire».

Elodrian stava iniziando a nutrire una gelosia insensata e infondata per me, e quella sera ordinò a un ragazzino che faceva da assistente al manager di seguirmi a debita distanza, per assicurarsi che tornassi all'appartamento di Arthur, sola.

Il mio rifiuto doveva averlo messo di cattivo umore, tanto da proporre al resto della band di divertirsi un po', a modo loro.

«Arthur ci ha detto di darci un freno, abbiamo già fatto fuori quattro persone a New York, se ci conti pure la tipa che probabilmente Tenebraum sta già sotterrando. Teniamoci tutto il furore per l'Inghilterra, là hanno campagna a non finire e notti nebbiose» propose Jack, che da un po' aveva cominciato a farsela sotto. I tre compagni iniziavano a essere ingestibili, stavano prendendo troppo gusto con il delirio, spaventavano le groupie con battute necrofile che, sotto sotto, tanto ironiche non erano.

Sangue di GiudaWhere stories live. Discover now