Capitolo VII - Sfumature

53 12 140
                                    

"Ti piacciono alcune cose,

solo perché le ami vedere andare in frantumi"

- Hole, Doll Parts 


Quando rincasai, ancora scossa e tesa, c'era Sheena ad accogliermi sulla porta: indossava un tubino maculato, i capelli erano cotonati all'inverosimile, le labbra dipinte di un viola così scuro da sembrare nero e le pupille dilatate. Era fatta, aveva un sorriso ebete stampato sul suo volto sempre meraviglioso, e la voce tradì subito un misto di divertimento, imbarazzo e un "scusa, non è colpa mia".

Constatai che gli Eclipse erano a cena da Arthur, insieme a un collega della casa discografica e a un regista di videoclip.

«Kym! Prego, prendi posto, fra poco è pronto» esordì Arthur, euforico e molto, molto fatto.

«Si chiama Kyra» lo redarguì Elodrian, scocciato. Il biondo aveva pettinato i capelli all'indietro, indossava una maglia bianca aderente con il collo a v, dei pantaloni di jeans strappati e aveva contornato gli occhi con un sacco di matita rossa.

Aveva lo sguardo di un pulcino mentre posava le pupille su di me, il che mi diede fastidio.

«Hai visto un fantasma? Sembri uno straccio». 

Fu invece il benvenuto di Tenebraum, galante e gentile come suo solito.

Mi infilai in doccia, con la scusa di non avere fame e di sentirmi poco bene. Beh, non era una bugia. Avevo lo stomaco sottosopra. Non capivo perché quel ragazzino fosse riuscito a scombinarmi così tanto. Da un lato, avevo percepito le stesse vibrazioni che provavo quando stavo con Ilirian, o Elodrian, ma... con un retrogusto insolito, fastidioso. Aveva osservato la mia piccola ferita con lo sguardo di un lupo.

Mentre mi pettinavo i capelli bagnati, trasalii nell'udire lo squillo del telefono.

Ero mezza nuda, non mi andava di uscire fradicia e scalza per attraversare il corridoio e rispondere; poi era casa di Arthur, anche se a lui piaceva trattarmi da segretaria persino fuori orario.

«Sheena, il telefono!» gridai, visto che questo continuava imperterrito a squillare.

Nessuno si degnò di rispondere, e quel rumore insistente mi stava dando ai nervi.

«Cazzo, Sheena!».

Zero totale. Imprecando, lanciai la spazzola nel lavabo, mi strinsi nell'asciugamano e sollevai la cornetta, fingendo un tono cordiale: «Pronto?».

La linea era un po' disturbata, pareva che qualcuno stesse telefonando da molto lontano: «C'è Elodrian?» domandò una voce femminile, acuta. Quasi infantile.

«Chi parla?».

Mi chiesi se fosse possibile che dei fan sfegatati o dei paparazzi fossero stati in grado di procurarsi il numero di Arthur, solo per rompere a Elodrian, sapendolo a cena qui.

Dall'altro capo silenzio, uno scricchiolio che pareva rumore di foglie secche pestate, di fogli di carta strappati.

Mi stavo innervosendo: «Pronto? Chi è?».

Una risatina divertita anticipò la risposta: «Pani w bieli wzyma do siebie swoje dzieci. Źle, Źle, Źle, nie wejdziesz do krainy świętych».

Misi giù di colpo. Rimasi ferma davanti alla cornetta per un tempo indefinito, la pelle congelata, la bocca spalancata.

Sembrava... no, ero certa. Quella era la voce di mia nonna. La sua canzone, quella vecchia filastrocca polacca che soleva cantarmi prima di andare a letto, quando mi intimava di fare la brava. Non ricordavo benissimo il polacco, la nonna era l'unica a parlarmi in lingua ed era morta quando io avevo appena nove anni, ma più o meno il senso era questo: «La signora in bianco chiama a sé i suoi figli. Brutta cattiva, brutta cattiva, non entrerai nella terra dei santi».

Sangue di GiudaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora