Capitolo VIII - Il collezionista

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"Quando la luce inizia a cambiare

a volte mi sento un po' strano

un po' ansioso quando fa buio"

- Iron Maiden, Fear of the Dark


Posso dire che la mia vita sprofondò in una voragine, di cui ancora oggi non scorgo un suolo su cui sfracellarmi e smettere di esistere, il giorno in cui Jonathan Kingsley ci aprì la porta di casa sua, nelle East Midlands.

Chi diavolo è Jonathan Kingsley?, vi starete chiedendo.

Vorrei non saperlo nemmeno io, vorrei essere rimasta all'oscuro di tutto, continuando a vivere nella mia bolla leggera fino all'apocalisse.

Dopo il mio mancamento, e il discorso delirante che ne conseguì, pensavo davvero che mi avrebbero rinchiusa in una gabbia, con gli elettrodi alle tempie e una camicia di forza. Come nei peggiori racconti dell'orrore.

Ma non fu così.

Per un'ora buona assistetti allo spettacolo pietoso di Elodrian che strisciava i piedi scalzi sul pavimento, mangiandosi le unghie fino alla radice, bestemmiando e gridando contro il resto della band.

«Un macello... è un macello. L'hanno raggiunta, ormai è segnata... ormai... quell'idiota di mio fratello, che pensa di fare? No, no! È un macello, sarà sempre peggio, cazzo... Cazzo!».

Per la prima volta, anche Ylio e Tenebraum mi parevano preoccupati, o perlomeno accigliati, pensierosi.

«Ma... come fa? Non pensavo che avessimo questo potere» udii Ylio chiedere questo al cantante.

«Non ho idea di cosa faccia, di quali assurdi esperimenti stia testando. So solo che... Oh cazzo, oh cazzo! Andrà tutto a puttane! Lei è...» Elodrian mi indicò mentre stavo ancora stesa sul sofà, sempre più convinta di avere qualche sinapsi in procinto di spezzarsi.

«... è già spacciata» completò la frase il bassista, ma Elodrian gli fu addosso e iniziò a spintonarlo, con Ylio che lo tirava per un braccio per evitare che iniziasse un'inutile zuffa.

«Tappati quella bocca! Non sono più un ragazzino spaventato e annichilito, non possono ricattarmi e non lo faranno. Non la perderò di vista un minuto. Se mi vogliono indietro, sanno che non devono più toccare qualcosa a cui tengo. Mai più».

Non aveva senso, quei discorsi suonavano come una lingua aliena e io non sapevo come decodificarla.

«Ma tu non vuoi tornare indietro, nessuno di noi lo vuole. Allora perché non farla sparire, solo per ferirti? Non è questo che fanno? Si vendicano di chi li ha traditi, no? E tu non sei forse il loro Giuda Iscariota?».

Elodrian aveva il labbro che tremava, era in procinto di scoppiare in lacrime.

Era colpa mia? Che cosa aveva innescato quella mia reazione?

Di lì a pochi giorni gli Eclipse sarebbero partiti per iniziare il tour inglese.

Non era nei piani che io li seguissi, che nessuna accompagnatrice lo facesse, a dire il vero. Di groupie se ne trovavano a bizzeffe anche nella terra dei punk.

Ma Elodrian non volle sentire ragioni. Io dovevo rimanere con lui, costantemente sotto la sua ala, o al massimo controllata dal suo manager, dal suo entourage.

Io ero eccitata all'idea di seguirlo. Più passava il tempo, più per me la sua vicinanza diventava una droga potente, mi bastavano poche ore in sua assenza per iniziare a sentirmi debole, fastidiosa, isterica e instabile.

Sangue di GiudaWhere stories live. Discover now