Capitolo V - Magnete

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"Tu non vuoi davvero più niente da me

per far funzionare le cose

Hai bisogno di qualcuno che ti stringa forte

e tu pensi che l'amore sia dover pregare

ma mi dispiace io non prego in quella maniera"

- Soft Cell, Tainted Love


Mi ripresi nell'arco di due giorni: all'inizio mi pareva di avere la febbre, e forse ce l'avevo davvero.

Era un piccolo prezzo da pagare, dopo essere risorta, come amava ripetere Ilirian.

Mi sentivo in colpa a farlo dormire sulla poltrona, ma il letto era abbastanza striminzito, e lui insisteva perché avessi spazio e comodità a sufficienza.

Il giovane andava e veniva diverse volte al giorno, ogni tanto mi portava qualche leccornia, come hamburger con patatine. Una mattina in cui avevo più appetito, mi preparò dei pancake.

Mi dava l'idea di essere una persona molto sola, non abituata alla compagnia altrui; o meglio, una compagnia spontanea, non mediata dagli affari, per così dire.

Il terzo giorno di permanenza nel monolocale di Ilirian, iniziavo ad annoiarmi, perché ormai ero in forze.

Iniziavo anche a pensare a cosa avrei dovuto fare. Dovevo telefonare a Sheena, avevo capito che non potevo cavarmela da sola. Composi il numero tipo tre volte, ma riagganciai sempre prima che squillasse.

Era difficile, la ferita lasciata da Elodrian bruciava troppo, più ci pensavo e più mi pareva che le sue dita mi penetrassero nello sterno e rigirassero a proprio piacimento quell'odioso organo che dovrebbe limitarsi a pompare il sangue, non i sentimenti.

Rimisi i miei vestiti, accarezzai il micio, anche se sembrava davvero un gatto di strada vivo per miracolo, e perlustrai quei pochi metri quadri di abitazione.

Notai con piacere che Ilirian teneva alcuni libri nei cassetti, tascabili usati di storie di fantascienza, un saggio sui riti di passaggio nelle varie culture, e una specie di storia folkloristica ricca di tenere illustrazioni acquerellate.

Quest'ultimo volume suscitò la mia attenzione, quindi iniziai a sfogliarlo: era un racconto per bambini, scritto in maniera semplice, anche se percepivo un che di nostalgico in quelle parole impresse su carta.

La porta si aprì di scatto, e io per istinto richiusi il cassetto, piena di vergogna.

«Ehi, scusami! Non ti avevo detto che c'erano dei libri da leggere, mi è passato di mente. Tanti li ho dovuti lasciare in Inghilterra» mi sorprese Ilirian con candore, avvicinandosi a me e sfilandomi piano la fiaba dalle mani.

«Non volevo rovistare, scusa, cercavo un modo per ammazzare il tempo fino al tuo ritorno» mi giustificai, ma Ilirian non mi stava ascoltando; guardava il libro, lo sfogliava come se fosse un album di fotografie di famiglia.

«Lo vuoi?» mi allungò il libricino, e io lo presi, stringendolo al petto.

Non mi avevano mai regalato un libro, la sensazione che provai fu strana, ne fui immediatamente gelosa.

«Grazie, è un po' sui generis come fiaba».

«Introvabile, ormai» asserì Ilirian, e io dissi che, se era un'opera rara, doveva valere una fortuna.

Sangue di GiudaWhere stories live. Discover now