7. Buonanotte un cavolo

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Non dormì nemmeno quella notte.

Nelle mie vene scorreva adrenalina pura, un entusiasmo che solo nel più fervido e irrazionale dei miei sogni avevo osato immaginare, un'emozione talmente magica e folle che non pensavo potesse esistere. Era dunque così che ci si sentiva davanti al compimento del proprio destino?

La camera da letto era ancora intatta. Avevo iniziato a disporre il mio merchandising per articolo, ma il coraggio di scostare le lenzuola e addormentarmi in quella stanza era venuto meno. Mi ero sistemata sul divano, accanto ai bagagli, perché non volevo sgualcire nulla di quella tela perfetta su cui ero adagiata, non volevo divorare l'assurdo splendore di quell'appartamento. Avrei mosso piccoli passi, immergendomi con calma in quella nuova bellezza sconosciuta, realizzando poco alla volta quello che mi circondava, gustandolo piano, prendendone un pezzettino ogni giorno. Guardai fuori, attraverso le splendide vetrate che mi separavano dal resto del mondo, e provai a prendere sonno.

Bussarono alla porta. Mi destai dal dormiveglia in cui, mio malgrado, ero crollata, domandandomi se lo stessi solo immaginando. L'appartamento era immobile attorno a me, la quiete luminosa del complesso residenziale immutata, fuori. Attesi e bussarono ancora. Rapidamente, mi diressi all'ingresso.

Una figura familiare comparve nello spioncino. Spalancai la porta e, ad attendermi, il sorriso colpevole e non eccessivamente dispiaciuto di chi non riesce a dormire e sa bene che nemmeno tu sei sotto le coperte.

«Ciao, manager. Ti disturbo?».

La voce baritonale e ammaliante di Taehyung era ridotta ad un sussurro fintamente timido, speranzoso e furbo, e i suoi occhi delicati assottigliati da un pizzico di imbarazzo.

«Kim Taehyung!» esclamai, il respiro spezzato, «cosa è successo? Stai bene? State tutti bene? Prendo la macchina! Chiamo il signor Bang!». Mi voltai di scatto per afferrare le chiavi del Range Rover nello svuotatasche di murano, ma una mano delicata mi afferrò il polso.

«Manager, calmati, stiamo tutti bene, non è successo niente» rispose lui, tradendo un pizzico di divertimento che mi fece sentire una scema. Ero apprensiva, sì, ma garantire il loro benessere e la loro incolumità era il mio lavoro, e 30 milioni di fan contavano su di noi - su di me.

«Kim Taehyung, è l'una di notte. Se grazie al cielo non è successo nulla, cosa ci fai qui?».

«Te l'ho detto» rispose lui, chiudendosi la porta alle spalle, «non riuscivo a dormire». Accesi la luce mentre V avanzava verso il candido tavolo della cucina, depositando una busta fumante.

«I ragazzi dormono, e Jimin sta da sua nonna. Non posso svegliarli. Ma sapevo che tu eri sveglia» spiegò, tirando fuori una confezione argentata e rivolgendomi uno dei suoi sorrisi che per anni avevano fatto da salvaschermo al mio cellulare e da colonna portante dei miei articolati sogni. Avvampai, probabilmente, perché senti la faccia raggiungere temperature tropicali mentre lui scoperchiava il kimchi e ci poggiava accanto due birre in lattina.

«Ho provato a suonare qualcosa, ma le note vengono fuori... strane. Non so, ma non capisco. Mi succedere raramente» ammise, frustrato.

«Forse hai bisogno di riposo» suggerì, nel tentativo di consolarlo.

«Così ho pensato di mangiare qualcosa, e che probabilmente nemmeno tu riuscivi a dormire, e volevo sdebitarmi per la cena che ho scroccato ieri» spiegò, con calma.

«Kim Taehyung, sei gentile, ma non dovevi».

«Manager, puoi smetterla di chiamarmi Kim Taehyung come se fossimo estranei? Mi imbarazza».

«Va bene... Taehyung?» azzardai, sperando che andasse finalmente bene. Lui fece un cenno d'assenso, soddisfatto. Poi, si voltò a studiarmi e sorrise.

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