35. Violent Waves

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Non era stato facile.

Niente di tutto quello che aveva dovuto affrontare lo era stato. Dal primo giorno, ogni cosa si era rivelata maledettamente complicata, faticosa. Eppure ne era valsa la pena, sempre.

Nemmeno in quel momento era facile. Taehyung si era sempre detto che almeno l'amore, perlomeno quello, l'avrebbe voluto semplice. E che in caso contrario avrebbe rinunciato.

Con Bee era stato genunino come sbocciare in primavera. Inevitabile, incantevole. Non era l'amore perfetto, ma il più vero che avesse mai provato. Gli scuoteva lo stomaco e gli spalancava gli occhi, gli riempiva la gola di risate e la schiena di brividi. Lo teneva sveglio di notte e lo addormentava quando lei gli era accanto, gli metteva fame e subito lo saziava con un tocco.

Ma adesso lo faceva soffrire.

Perché in un attimo ogni cosa si era fatta assurdamente difficile, lontana. Eppure lui non riusciva a rinunciare. Non lo avrebbe fatto mai.

«Taehyung!».

Jimin era veloce, gli teneva testa nella corsa. Alla vista di quelle immagini erano scattati come molle, abbandonando le postazioni. Jin venne loro incontro, gli si schiantò addosso, provò a frenarlo con tutta la prestanza del suo corpo.

«Ti devi calmare! Aspettiamo Namjoon!» ringhiò, spingendolo contro Jimin, ma Taehyung non riusciva a capire, non vedeva il senso. Bee era sola con quell'uomo, lui la stava minacciando, avrebbe leso la sua immagine e l'avrebbe allontanata da loro, da lui, e Taehyung, almeno l'amore, avrebbe voluto salvarlo.

Si abbassò di scatto lasciando che i suoi hyung si scontrassero nel tentativo di contenerlo, e se Jimin non fosse stato così agitato e Jin così insaccato nella divisa di quel Pavel forse l'avrebbero braccato. Forse avrebbe dovuto lasciarsi braccare.

Invece continuò a correre più veloce, fino all'ultimo piano.

La mano di Jungkook gli si arpionò alla camicia. Per una frazione di secondo gli sembrò di cogliere una supplica negli occhi scuri del maknae, ma le sue gambe erano troppo veloci, il suo cuore troppo spaventato. Se lo lasciò dietro come un maremoto con i bagnanti.

Non riusciva a capire perché volessero fermarlo. Aveva il diritto di correre, di essere furioso e triste e spaventato. Aveva il diritto di essere con Bee, anche se lei lo aveva tagliato fuori, anche se gli aveva mentito.

«Spostati!». Parlò prima di pensare. Hosek era piantato davanti alla porta, il corpo snello e leggermente più basso del suo lo rendevano un ostacolo aggirabile.

«Taehyung, potrebbe essere una trappola! Quell'uomo è pazzo!».

E mentre realizzava che forse Hoseok aveva ragione, che davvero avrebbero fatto meglio a non essere lì, la porta della suite si spalancò.

Yoshi Sakurada aveva l'aura contundente di chi non conosce altro dio all'infuori di se stesso. Era bello e, per qualche insensato motivo, a Taehyung venne ancor di più il voltastomaco. Gli somigliava, in verità, ma era più alto e più affilato, più pallido e vacuo, come un'ombra che si allunga.

«Buonasera, Kim Taehyung».

La sua voce graffiava le orecchie, pungeva il cuore. Era come parlare con il Diavolo, come quando il male viene a cercarti.

«Ragazzi! Jungkook, Taehyung, Hoseok!».

La voce di Bee, invece, era fresca e salvifica come il canto del mattino. Quando vide i suoi enormi occhi scuri sbucare alle spalle di Yoshi, Taehyung provò un moto di benessere così profondo che gli sembrò di poter volare. Stava bene, anche se sembrava triste.

E dal modo in cui lo guardò, capì che era ancora sua. Che si appartenevano ancora, forse più di prima, e che nessuna bugia avrebbe mai potuto separarli.

«Che scenetta toccante. Ti brillano gli occhi, lo sai?».

Yoshi lo stava apostrofando. Già, era a lui che parlava. Taehyung si fece duro, autoritario.

«Vuole la nostra collaborazione per... cosa diavolo è? L'avrà. A patto che cancell-».

«Hai visto come me la scopavo?».

Fu come se l'albergo, Seul e il mondo intero crollassero. Non poteva averlo detto davvero. Che razza di uomo era, uno del genere?

«Taehyung, lascia stare. Andiamo via».

Bee superò Yoshi, spintonandolo, e prese Jungkook ed Hoseok per le braccia, come un bagnino con dei corpi inerti. Yoshi Sakurada non fece caso a lei, affatto. I suoi occhi erano puntati su di un'unica persona.

«Come ci si sente, a mangiare nel piatto di un altro?».

«Taehyung, non ascoltarlo, lo sta facendo di proposito».

Ma Taehyung questo lo sapeva. Era ovvio che lo stesse facendo di proposito. Ma non per questo faceva meno male. Non per questo era meno brutto.

Jin e Jimin si arrestarono alle sue spalle. Avevano il fiato corto, e dal modo in cui Jimin chiamò Bee sembrava sul punto di piangere.

«Manager! Andiamo via» implorò il biondo, ansimando, «Taehyung, andiamo via».

Bee gli fu accanto. Gli prese il braccio e a quel tocco lui avrebbe voluto rispondere con tanti di quei baci da farsi respingere, come quando lei, in lacrime per le risate e per il solletico, lo implorava di smettere. Invece i suoi occhi scuri galleggiavano in una patina acquosa, densa di preoccupazione, di speranza.

«Andiamo via. Ti prego».

E sarebbero andati via davvero, avrebbero voltato i tacchi e sarebbero spariti, lasciando Yoshi Sakurada alle sue vanagloriose elucubrazioni, lasciando che di lui si occupassero gli avvocati del signor Bang. Lo avrebbero fatto, stavano per farlo, ma poi quel suono si era diffuso nell'aria.

Un mugolio femminile, dapprima sommesso e successivamente più acuto, più veloce, più agitato. Yoshi sollevò il cellulare, mostrò il video con aria colpevole.

«Ops, che sbatato. Prima vi ho inviato un video senza audio. Devo dire che così rende molto meglio, non è vero?».

Tutto quello che Taehyung riuscì a sentire fu il suo nome, invocato a gran voce da tutti, persino da Namjoon e da Yoongi, e l'abbraccio di Bee che provava a trattenerlo. Fu tutto quello che vide e udì, poi fu un dolore sordo sulle nocche, come un muro di mattoni, come il ghiaccio, come le ossa che si sgretolano piano. 

About Last NightWhere stories live. Discover now