2: Tende celesti

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Harry aprì gli occhi su quella mattinata uggiosa, in cui il sole entrava piano e timidamente dalle pesanti tende.

Sentì la carezza della stoffa morbida del cuscino sulla sua guancia e ci passò ulteriormente il viso, in cerca di quella tenera frizione. Voleva essere consolato.

Aveva dormito poco e male quella notte, sconfortato dai suoi piani andati in fumo.

Avrebbe davvero voluto ascoltare Louis Tomlinson suonare, ancora una volta.

Gli sarebbero bastati pochi minuti, giusto qualche nota. Sarebbe stato felice.

L'incontro con il nobile musicista gli era rimasto impresso nella mente e nel cuore: avrebbe voluto essere analizzato ancora da quegli occhi.

Si passò una mano tra i capelli e gli sembrò di rivivere il tocco di quell'uomo; tanto lo aveva meravigliato da ripresentarsi anche nei suoi sogni quella notte.

Non ricordava il sogno. Ma sapeva, sentiva, che fosse stato bello. Riusciva ancora a percepirne gli strascichi nel petto, un leggero formicolio di estasi.

Girò la testa verso la finestra e gli sembrò che quei tendaggi porpora fossero troppo tetri.

Allungò la mano per raggiungere la campanella al bordo del letto e pochi secondi dopo averla fatta suonare si ritrovò davanti la sua cameriera personale.

<Le serve qualcosa signore?> chiese lei aggiustandosi le pieghe del grembiule.

<Ho una richiesta: vorrei cambiare il colore delle tende> disse facendo leva sulle braccia per alzarsi e poggiare il busto allo schienale del letto.

<Le tende, signore? Ha una preferenza sul colore?> sembrava abbastanza stupita, anche se di certo non era la prima stramba richiesta avanzata dal giovane nobile.

<Le vorrei celesti>.

———

I resti della sua colazione giacevano abbandonati nel vassoio poggiato precariamente sul letto.

Camille lo stava aiutando ad abbottonare un polsino con cui lui non aveva proprio voglia di combattere. Sentirono un leggero picchiettio sulla porta e l'accenno della voce del maggiordomo, seguito subito dopo dal rumore della porta che sbatteva.

Camille sobbalzò mentre Harry restò impassibile, sicuro su chi fosse.

<Camille, grazie, lasciaci pure da soli> disse Gigi, che poi rimase in silenzio fino alla dipartita della cameriera.

<Harry Edward Styles, dannato te e la tua progenie!>

<Buongiorno Gigi, se fossi venuta prima il gallo sarebbe stato felice di annunciarti> disse ironico guardando il suo orologio da taschino: erano le otto e un quarto.

<Molto divertente> disse lei, buttandosi sul divanetto con poca grazia, Harry non riuscì a trattenere un sorriso sentendo il rumore ridicolo prodotto dalla stoffa.

<I miei vestiti saranno anche scomodi> guardò il suo polsino non ancora chiuso <ma i tuoi...> disse in un misto di ammirazione e disgusto.

<Ti dovrei far provare un corsetto> disse lei, <così smetteresti di lamentarti di qualsiasi tuo problema>.

<Ma è vero che la sorella di Liam l'altro giorno è svenuta?> chiese Harry con un cipiglio da pettegolo, sedendosi sul divano vicino alla sua amica. Nel poco spazio che restava.

<Diciamo che la poveretta ha avuto un leggero mancamento. Ho sentito dire che da quando è stata data in sposa, viva di pane e acqua per entrare nel vestito del gran giorno> disse lei facendogli l'occhiolino, complice.

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