4: Bruciarsi

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Harry vedeva la vita come una serie di imprevisti.

Non importava quanti piani tentasse di mettere sù, c'era sempre qualcosa in agguato, pronto a farli cadere.

Non era sempre una cosa negativa.

Se c'era una cosa che aveva imparato nella vita, era proprio quella: gli imprevisti potevano portare con sé qualcosa di buono.
Nella sua mente però campeggiava una domanda: Lord Louis era un imprevisto negativo o positivo?

Mai era arrivato alla risposta.

Lo aveva immaginato per anni, anni a chiedersi come fosse il suo viso, di che colore fossero i suoi occhi, aveva sognato le sue mani muoversi veloci sulla tastiera di un pianoforte e si era addirittura ritrovato ad immaginare di poter contare le rughe sul viso di quell'uomo avvolto dal mistero di una notte.

Louis nella vita di Harry era stato tante cose: era stato la speranza di un ritorno, il senso di meraviglia e il mistero del ricordo che si fonde al sogno.

Ma mai aveva saputo dire se l'incontro con la sua musica fosse stato un avvenimento positivo.

Anche in quel momento, non avrebbe saputo rispondersi: mentre lo guardava, come credeva che mai avrebbe potuto guardarlo.

Era a metri di distanza da lui, ma Harry aveva la sensazione di averlo dentro, all'altezza del cuore.

Aveva desiderato per così tanto tempo sentirlo ancora, sentire Louis Tomlinson imprimere se stesso in quella musica che prometteva l'eterno.

Lo aveva desiderato e in quel momento era davanti a lui, vestito di ineffabile perfezione.

Ed Harry ne ebbe paura.

Paura di quel cuore che spingeva per raggiungere quel sogno fatto ad occhi aperti.
Paura di quella musica che sembrava il canto di una sirena, pronta a far schiantare la sua nave contro gli scogli.
Paura di quella sensazione che mai aveva provato e che sapeva in cuor suo non essere suscitata dalla musica, ma dal musicista.

Lord Tomlinson sembrava stargli risucchiando l'anima e lui ne ebbe paura.

Paura di quell'uomo che lo guardava con gli occhi di un demonio.

———

Osservava quelle tende celesti con odio. Le odiava solo perché sapeva di amarle.

Si muovevano mosse dal leggero vento che entrava da una finestra aperta per il capriccio di far innervosire sua madre.

<Harry oggi che ti succede?> chiese innervosita, aveva parlato così tanto da quando era entrata che il figlio si era abituato al rumore di sottofondo.

La vide andare a chiudere la finestra facendola sbattere.
<Fa freddo, ti vuoi ammalare? Figlio mio, io proprio non ti capisco certe volte!>

Guardò sua madre negli occhi e pensò che mai sarebbe voluto diventare così, un agglomerato di stereotipi e richieste sociali.

Si vergognò di aver giudicato così sua madre, ma non riuscì a convincersi del contrario, vedendo quei suoi movimenti o sentendo quel suo modo di parlare: era come tutte le altre dame dalla sua età. Una pallida rappresentazione di donna, ingiallita e assottigliata da tutto ciò che le avevano tolto per renderla presentabile.

Vide la porta aprirsi con decisione e il rumore della camminata di una lady sicura di sé catturò l'attenzione di Harry: Gigi.

Sua madre uscì, lasciando Camilla a sorvegliarli, era disdicevole che un uomo e una donna stessero nella stessa stanza da soli.

Il tocco delicato di quella splendida donna sulla sua guancia gli ricordava la carezza di un fiore, ma lui desiderava le spine.

Desiderava essere svegliato da quel torpore, desiderava i graffi sulla pelle e desiderava sentire.

Peccare d'amoreWhere stories live. Discover now