Abruptum - Parte Prima

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Dimenticare qualcosa non ne cancella l'esistenza

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Dimenticare qualcosa non ne cancella l'esistenza.

Ezechiele De Dominico

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Per me i boschi sono come templi, sacri e intoccabili; mentre il vento, il fuoco e tutto ciò che li abita sono i suoi sacerdoti. Quella sera, assieme al mio fedele amico, un campagnolo sempliciotto, contemplammo in una lunga analisi queste supposizioni. Perché credere in divinità inesistenti create dall'impurità umana e venerate come pure? Ci si chiedeva. Mentre lui, con espressione affaticata, arrancava nella mente per trovare le parole e le congetture giuste, cercando di formulare una risposta. Sapevo che per una persona del genere sarebbe stato complesso elaborare teorie fantasiose, visto che di fantasia ne aveva poca. Era un uomo tutto d'un pezzo, fermo, dalle braccia forti e la schiena villosa. Era bravo a tagliar la legna, ad accendere il fuoco, a riconoscere le tracce; addirittura a creare trappole per mettere della selvaggina sotto i denti. Per fortuna avevamo abbastanza cibo per rimanere un intero fine settimana in campeggio, senza dover togliere la vita ai sacerdoti del bosco. Su questo di fatti non ero d'accordo e lui invece, quando si toccava qualcosa per cui provava interesse, fra le sue parole semplici trovava il modo di replicare con foga, quasi con rabbia. Diceva che la caccia era essenziale e millenaria, e che se si caccia per sfamarsi e non per guadagnare quelli che io chiamavo sacerdoti diventavano "frutti", come le stesse fiamme del fuoco.
«E questo fuoco, appunto», gridava fra un cinguettio e l'altro, «che sacerdote credi che sia? Eh? Piuttosto è un frutto che ci dona il bosco, come gli animali, i rami degli abeti, dei pini e dei castagni. Concordo sulla foresta come tempio, ma che abbia dei sacerdoti, perciò sacri e intoccabili, non ci credo!»

Scossi il capo, divertito dalla sua irriverenza quando si parlava dei suoi ambiti. «E' una buona teoria anche questa. Ma se reputi il bosco un tempio come può essere tale se non ha dei sacerdoti?»

«Eh beh», esclamò grattandosi il capo, con gli occhi grandi che puntavano le fiamme del braciere. «Il vento potrebbe esserlo. Il vento parla, sussurra, porta parole e spaventa. Chi meglio di lui potrebbe far le veci di un sacerdote? Quando ulula fra i rami, spostando le foglie, sembra che parli proprio a noi. Non credi? Eh?»

«E fa paura...» Ammisi io contemplando quanto, per adesso, l'aria fosse calma.

«Allora non facciamolo arrabbiare che è meglio!» asserì il mio amico strofinando le mani annerite dal legno bruciato. «Piuttosto, si mangia?»

Annuii. Ma nel cranio aleggiava un'insolita domanda: e se nella nostra ingenuità avessimo ragione? E se noi uomini avessimo perso la retta via della natura per spostarci in edifici di cemento, lontano da ciò che siamo e che eravamo? In quel momento pensai che se le nostre teorie fossero realmente veritiere, il bosco poteva darci tutto quello di cui avevamo bisogno. In effetti, pensandoci bene, cosa mai ci sarebbe mancato lì?
Infine mangiammo.

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