Tempus - Parte Prima

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Il tempo è il mistero più grande che ci sia al mondo. Nessuno sa se il passato coesista con il presente, e non possiamo dire per certo che il nostro destino sia stato già scritto da qualcuno o qualcosa. Quello che deve succedere è già successo? Quello che è già successo cammina di fianco a noi? E il presente, che sfuma secondo dopo secondo, quant'è presente in realtà? Io lo percepisco come un attimo intoccabile e inafferrabile.

Da sempre, nell'animo umano, c'è il desiderio di viaggiare nelle varie epoche; chi per incontrare personaggi storici, chi per fuggire dal posto a cui non appartiene, chi per la scienza e chi per l'arte. Ma io vorrei farlo solo per godermi i paesaggi di una volta, quelli in cui le strade e gli edifici erano racchiusi fra mura merlate e secchiate di piscio. Amo il periodo medievale e ho sempre immaginato come fosse nella mia testa.

Abito in un paese che risale al 1301, vantando origini longobarde. Nelle vie del borgo ci sono pittori, artigiani, lavoratori di marmo e negozi di antiquariato. Essendo appassionato di storia, mi recavo ogni giorno dal mio bottegaio di fiducia che esponeva merce preziosa risalente anche al periodo alto-medievale.

Dlin Dlin! La piccola campanella tintinnò mentre aprii la porta. L'odore di vecchi libri, cera e solventi si fece largo nelle mie narici, perciò assaporai quelle fragranze come profumi costosi. I miei occhi scivolarono sulle armature, lucide e argentee, poi sui lampadari, probabilmente dei primi anni del '900; ma poco più in là riposavano dei bauli impolverati, alcuni addirittura con vecchie serrature chiuse e intatte. Chissà cosa contenevano. Se fossero stati aperti dal bottegaio avrebbero perso parte del loro valore e, non sapendo cosa nascondessero, alzò i prezzi per guadagnare su quel che avrebbe venduto a occhi chiusi. Io ne vidi uno in particolare: era minuto, dagli intarsi dorati e il tessuto di un rosso porpora, che dava l'idea di avere almeno un secolo.

«Cesare, ma quello è nuovo?» Il mio indice scheletrico lo indicò.

«Quello?» il negoziante alzò il capo. Con gli occhiali sulla punta del naso lanciò una veloce occhiata al bauletto. «Sì, sì, è nuovo. Mi è arrivato l'altro giorno dalla Cina, o dal Giappone... Chi se lo ricorda! Guarda che casino che ho in negozio, sto perdendo la testa». Di fatti quando tornò a lavorare su un antico orologio da taschino, fu talmente irruento che fece saltare una delle molle.

Trattenni una risata, ma il mio corpo si mosse in un leggero spasmo e lui se ne accorse. «Devo aiutarti?» chiesi con garbo per farmi perdonare.

«No, lascia stare», sbuffò. «E' meglio che non vada avanti per oggi, sono esausto».

Io annuii, notando con quanta cura accudisse la sua merce. Era preciso, metodico e ossessivo. Se aveva un lavoro fra le mani doveva finirlo a costo di passare la notte in negozio. «Comunque», continuò, spostando gli occhiali sul dorso del naso. «Ti interessa il forziere?» una scintilla fece brillare le sue pupille: mi ero scordato di dire che era un bravo, e insistente, venditore.

«Mah», sospirai, «come posso comprarlo se non so cosa ci sia dentro? Magari è un falso e trovo solo stoffe tagliuzzate».

«Ma cosa stai dicendo?» mi guardò perplesso. «Credi che io compri dei falsi? Eppure mi conosci». Si avvicinò al bauletto e lo prese in mano con estrema delicatezza, roteandolo. «Guarda,  la stoffa e il metallo sono stati controllati da un perito esperto: tutto risale più o meno al 1800. Che dentro ci sia qualcosa della medesima epoca non posso dirlo, però, per te, invece che cinquecento euro possiamo fare quattrocentocinquanta».

I miei occhi si strizzarono per seguire le sue indicazioni, tuttavia quella cifra era troppo alta: «Veniamoci incontro: duecento sull'unghia e lo porto via».

«Duecento?» il bottegaio sorrise con un ghigno. «Quattrocento, ultima offerta».

«Cesare, ho speso più di una volta almeno mille euro per certi oggetti, sono tuo cliente ormai da anni, se me lo lasci a trecento ti giuro che la trattativa è conclusa».

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