Tempus - Parte Terza

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Appena mi svegliai ebbi la tentazione di guardare nel passato, tuttavia resistetti: non potevo utilizzarlo di nuovo e deludere Cesare; se gli fosse capitato qualcosa di orribile?
Mi stavo finalmente rendendo conto della pericolosità del monocolo. Se qualcuno lo avesse saputo e ci avesse denunciato sarebbero venuti i servizi segreti per portarci via, interrogarci, e magari farci sparire sciogliendoci nell'acido. L'eccitazione mi aveva illuso di vivere un sogno e non avevo minimamente pensato alle conseguenze.

Preoccupato per la sorte del mio amico, chiamai la scuola fingendomi malato, sicuramente i miei alunni avrebbero saltato di gioia, poi mi diressi al negozio di antiquariato. Sentivo qualcosa dentro di me, una voce che mi ripeteva: "Cesare è in pericolo, Cesare è in pericolo!" Per sicurezza portai il baule appresso stando molto attento a non lasciarlo incustodito.

Dlin Dlin. Il campanello suonò e la testa di Cesare fece capolino dal bancone: «L'hai portato?» chiese affannando.

«Tutto bene?» domandai.

«Certo! Non è venuto nessun uomo di stracci a prendermi; ieri morivo di paura ma ora sono sicuro che sia solo una storiella per bambini. Piuttosto: diamo una sbirciata?»

Io lo guardai perplesso: «Non credo sia una buona idea», cercai di farlo rinsavire. «Ricordi di aver visto la figura di stracci? O te lo sei dimenticato? Dobbiamo occultarlo e lasciar perdere!»

«Ottavio, smettila!» proferì. «Se non ti senti sicuro lo terrò io piuttosto che nasconderlo. Comunque, non sono nemmeno certo di quello che ho visto, se devo essere sincero. Ero troppo suggestionato da questa situazione incredibile».

«Riesci a capire cosa abbiamo fra le mani? E' troppo pericoloso maneggiarlo ancora!» volli insistere.

Cesare continuò a parlare per una buona mezz'ora, costringendomi infine ad assecondare le sue richieste. Glielo porsi, e dispose i cilindri per guardare nel passato. «Ottavio», mi fissò dritto negli occhi: «Ieri erano fermi sulla data odierna, perché adesso sono sul 1301?»

Cercai di inventare una scusa, ma vedendo l'insistenza nel suo sguardo ammisi il mio sbaglio. Pensavo si lasciasse andare in una lunga ramanzina, invece prese il mio errore come una giustificazione per guardare ancora, asserendo che l'uomo di stracci era pura invenzione. Spostò i numeri formando la data 1756 e cominciò a sbirciare nel suo negozio.

«Ottavio, fai quello che ti dico». Sentendomi in colpa per non aver rispettato la promessa, decisi di eseguire gli ordini. «Aspettiamo che il proprietario apra la cassaforte», disse. Conoscevo Cesare e sapevo che avrebbe fatto di tutto per adempire al suo scopo: voleva trovare delle antiche ricchezze celate.

«Senti», gli chiesi con calma, «hai veramente visto l'uomo di stracci? O te lo sei inventato per convincermi a fare tutto questo?»

«Certo che l'ho visto», tuonò lui, mentre girava il busto in cerca di qualcosa. «Vuoi che te lo descriva?»

«Descrivilo se vuoi».

«Allora», fermò il monocolo sulla parete, «quando ti ho inquadrato era tutto buio e ho visto uno strano esserino che si muoveva per la stanza con una lanterna. Fluttuava leggiadro nell'aria, era come spaesato, sicuramente non sapeva dove fosse. Ieri ero un po' preoccupato, ma pensandoci bene era così innocuo che non credo possa far del male a qualcuno. E come ti ho già detto: l'ho visto davvero o ero suggestionato? Sai già la risposta».

Improvvisamente udimmo un rumore familiare: Dlin Dlin. Io mi girai verso la porta e la vidi richiudersi grazie al meccanismo automatico, ma all'interno del negozio non vi era nessun altro. «Chi è?» gridai, mentre Cesare era impegnato nella sua ricerca. «C'è qualcuno?»

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