Tempus - Parte Seconda

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Quando poggiai l'occhio su quella lente graffiata vidi qualcosa di incredibile: la mia città era tornata al periodo in cui venne costruita e notai gli operai, con braghe e tuniche, che issavano palazzi di marmo e mattoni rossi. Puntai la vecchia rocca, che ora sorgeva imponente ed enorme sul colle, con una fila di torce accese che dal basso raggiungevano la torre più alta. Anche la piazza, attualmente una colata di cemento, mostrava i piastroni grigi accuratamente riposti uno accanto all'altro. Volevo sentire gli odori, i suoni e i sapori, ma la voce di Cesare interruppe quel magico momento: «Fammi vedere Ottavio, o non te lo perdonerò mai».

Ancora impressionato gli porsi il monocolo. «Stai vedendo quel che ho visto io?» chiesi tremante. Il bottegaio, che da sempre era una persona molto razionale, cominciò a tentennare. Vedevo i suoi occhi che lacrimavano per rimanere aperti il più possibile, mentre i suoi movimenti bruschi puntavano il cannocchiale ovunque. Cercava di dirmi qualcosa, ma ogni volta che si muoveva finiva in un confuso balbettio. «Allora?» chiesi di nuovo, e Cesare abbassò lo strumento per poi guardarmi dritto negli occhi: «Sto impazzendo».

Nel momento in cui pronunciò quella frase capii che era tutto vero. L'eccitazione si impossessò di me e glielo strappai di mano di nuovo. Stavolta lo puntai verso la chiesa, che nel periodo prefissato era piccola e scura, non ancora dotata di tutto il marmo lucente. Provai a guardare il cielo, e le nuvole si mostrarono più chiare, con il Sole che sfumava di luce biancastra invece che giallognola. Non potevo sapere se si trattasse di un difetto delle lenti o se realmente il colore degli astri era diverso, ma avevo intenzione di osservare le stelle durante la notte. Cesare mi diede uno strattone: «Che hai intenzione di farci?» I miei occhi lo fissarono con gelosia: «Non lo venderò, se è questo che vuoi sapere».

«Venderlo...» Tentennò. «Venderlo ci porterebbe tanti soldi Ottavio, potremmo sistemarci a vita».

«Ma io sono già sistemato, tu pure, quindi è inutile aspirare a ricchezze celestiali se possiamo vedere nel passato». Quando pronunciai l'ultima parola si guardò attorno, facendomi cenno di abbassare la voce. «Vuoi chiedermi altri soldi?» io lo accusai.

«Che sei cretino?» Aspettò che le persone si allontanassero: «Sono un commerciante serio, io! Ti ho venduto quella scatola chiusa e il prezzo è stato deciso. Ora, però, dobbiamo decidere cosa farne... Se fosse pericoloso?»

«Oh no, non sarà pericoloso», cercai di convincere anche me stesso. «Però, se vuoi venire stasera da me, vorrei guardare il cielo notturno medievale. Ti va?» 

«Verrò, verrò, ora devo finire un lavoro. Posso fermarmi a cena?» Pulì le mani con uno straccio e sistemò il colletto della camicia, come se volesse farmi capire che il lavoro da concludere sarebbe stato concluso in fretta.

«Certo, amico mio. Cucinerò hamburger e patatine, mi hai sempre detto che ti piacciono», il mio sorriso e quello che dicevo non venivano dalla mia coscienza, erano solo un riflesso del meccanismo mentale che stava assorbendo quello che era accaduto. Non ero io a parlare, non ero io a muovermi; ogni mio pensiero e attenzione era rivolta alla scoperta che avevo fra le mani. Di fatti non salutai Cesare, che si ritirò nel negozio velocemente, cosa che non rispecchiava il suo carattere lento e riflessivo, ma ripresi a sbirciare mentre mi incamminavo verso casa.

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