Amentia - Parte Quarta

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Nessuno può opporsi al potere degli Dei.

Ezechiele De Dominico

Avevo la bocca secca e le mani gelide

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Avevo la bocca secca e le mani gelide. I denti si stringevano fra loro come se sentissero il mio terrore. Ero immobile, in un grande letto, costretto a tenere gli occhi aperti puntati sul cappello di un armadio.

La temperatura si abbassò; sentii il calore sparire. Una mano scura, come quella di un'ombra, strisciò sui cesti di vimini posati sul mobile in modo che si vedessero solo quattro dita sottili, fini, minute.
Una risatina acuta rimbombò nella stanza e il gelo scese di nuovo, stavolta più freddo, mentre il buio calò gradualmente fino a lasciare uno spiraglio di luce che mostrava solo la mano. Essa si mosse, strisciando ancora, in un viscido rumore fastidioso. Il silenzio che mi circondava non permetteva di ovattare quel suono.

Lentamente vidi il quinto dito, poi il polso, così ossuto che apparve come quello di uno scheletro. Avevo paura di ammirare il suo intero corpo perciò mi sforzai per chiudere gli occhi, ma gli stessi non volevano ascoltare i miei impulsi cerebrali.
Arrivò il gomito, che piegandosi seguì la forma del cesto, poi il braccio e la spalla.

Nella mia mente distrutta, ormai plagiata dal dominio di Somnium, stavo vivendo quell'incubo orribile che mi perseguitò per anni, per interi periodi della mia infanzia. Se fossi un uomo stupido e incapace di ragionare vi direi che fu solo soggezione, ma avendo studiato gli Dei e ogni loro forma so, per certo, che si trattava di una presenza oscura che voleva impossessarsi di me tramite i sogni.

Pochi istanti dopo fece capolino con la testa. Portava un'acconciatura antica, a caschetto, con un fiocco che ombreggiava sui capelli. Il vestitino con cui si presentava svolazzò fra i contenitori, mentre un sibilo metallico mi vibrò nella mente. Ero immobilizzato dalla paura ma sapevo che avrei dovuto reagire; nonostante stessi vivendo il mio incubo ero in grado di pensare, di rendermi conto che tutto ciò non era assolutamente reale. Cercai di muovere le mani ma erano bloccate, cercai di gridare ma i denti erano digrignati; non potevo scaraventarle qualcosa contro, e proprio per questo lei si scostò dal cesto inclinando il capo verso destra in modo inquietante.

Vedere una bambina minuta che si muove fra dei cesti di vimini potrebbe essere una cosa divertente, ma sapendo che si tratta di una presenza oscura risulta terribile. E terribile è il male che mi provocava mentre fissavo i suoi occhi d'ombra, impercettibili, ma tremendamente profondi.

La sua voce, che non si muoveva coordinata alla bocca perché ne era priva, risuonò nella stanza come una melodia distorta e disturbante. Cominciò a saltellare, a nascondersi per poi riapparire dietro un cesto troppo distante per essere raggiunto in quei pochi secondi. Si prendeva gioco di me. Io sapevo che la mia anima era appesa un filo e che sarebbe bastato un colpo di coscienza per uscire da quel sogno, ma era talmente difficile che la paralisi a cui ero sottoposto era stata creata dal mio stesso subconscio, unico rimedio per attutire la paura.

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