Soffio d'aria: il platano nudo

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«Niente roba troppo sexy al primo appuntamento, se no sembra che tu non aspetti altro. Vanno benissimo i jeans larghi in fondo con quelle gambe così magre, ma non con la solita maglia di scuola. Ci vuole qualcosa di forte, vediamo».

Lucrezia frugava nel suo armadio parlando da sola. Alle sue spalle Norah la guardava in silenzio.

Come avrebbe fatto? Si sentiva senza forze. Domani era lontanissimo, nel mezzo un sacco di domande: che poteva mettersi? Si guardò: niente poteva migliorare le sue forme piatte o cancellare quelle efelidi dal suo viso. Neppure quell'armadio, ben più ricco del suo.

«Ci troviamo al parchetto subito dopo pranzo, così si decide tutto», le parole di Lucrezia e il suo tono sicuro. All'uscita da scuola le era parso di avere davanti un sentiero spianato verso la sua radura piena di sole. Era proprio vicinissima.

Uno, due, uno, due, i passi verso la loro panchina li aveva volati. Sarebbe uscita col GGG! Il tappeto di foglie cadute le rispondeva sì a ogni passo, ogni cric croc era una voce dell'allegro coro.

Perfino sua madre aveva notato la luce che emanava al ritorno da scuola.

«Ehi, che è successo? Hanno riportato qualche verifica? Un bel voto?»

«No, niente di particolare», aveva risposto senza convinzione con un sorriso stampato sulla faccia, saltellando verso camera sua. Angela aveva risposto con un cenno della testa, come a dire certo, come no.

«Lo vedrò, sul serio» aveva detto alla testina di marmo che l'aveva aspettata paziente.

Ci sarebbero saliti insieme lassù nella casa, era sicura. Ci sarebbero entrati e lui si sarebbe stupito di come si vede tutto da lassù.

«A guy like you should wear a warning

Its dangerous, I'm falling

There's no escape, I cant wait»

È vero, era in pericolo ma felice. Voleva cadere. Lui era un pericolo bellissimo, valeva la pena. Non poteva aspettare. Sarebbero caduti insieme, chissà. Aveva festeggiato ballando sulle note di Toxic, Britney Spears, lei sapeva dire tutto. L'elettricità che aveva addosso era scorsa tra balzi e rovesciate. Sorrideva mentre immaginava lo sguardo stupito di Laura al suo ritorno in classe, dopo. Un vero trionfo. Era scappata subito nel sole del dopo pranzo.

Ora, mentre Lucrezia stava tirando fuori maglie di ogni genere dal grande armadio di noce a due ante che troneggiava in camera sua, Norah fissava con sguardo assente il letto che si stava riempiendo. Lucrezia nella casa nuova aveva un letto a barca a una piazza e mezzo intonato all'armadio. I suoi frequentavano gli antiquari.

«Questa no, troppo scollata, non va bene per te che hai poco seno. Questa, forse? Mmmh, il giallo proprio non ce lo vedo. Meglio il nero, alla fine...ooooh, ma guardi un po' eh? Comincia a provartele, e dai, che ci fai lì in piedi come un baccalà?»

I genitori di Lucrezia le regalavano un mucchio di roba, specie la madre: spesso le portava a casa vestiti, si divertiva a farglieli provare, quasi se li mettesse lei.

Norah si ricordò di quelle volte che anche sua madre aveva provato a regalarle vestiti, quando era piccola.

«Sei proprio un maschiaccio eh!»

Quei vestiti a bambola con fiocchi e nastri lei li detestava. Soprattutto detestava il rosa; preferiva colori vivaci, senape, blu elettrico, arancio. Tutto il contrario dei colori pastello da femmina che piacevano a sua madre. Era stato tanto tempo fa, quando si sentiva bella con quelle trecce rosse. E il rosa con il rosso non ci stava proprio. Lo aveva detto anche suo padre qualche volta, quando interveniva nelle discussioni in sua difesa e Norah gongolava.

FOGLIEWhere stories live. Discover now