Come la brina al sole d'inverno

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«Ehi ciao, sono qui».

La voce del GGG proveniva da dietro un cespuglio di mirto, all'inizio dello sterrato. Un attimo e lo vide spuntare come dal nulla. Una magia, stava succedendo proprio a lei?

Aveva una maglietta marrone con stampato un sole giallo e, sotto, la scritta HARD ROCK CAFÈ, jeans a vita bassa e cappellino marrone con la tesa girata dietro. Il ciuffo nero sul verde degli occhi illuminati in un sorriso.

Tutto intorno silenzio e sole. Stabilimenti balneari deserti, parcheggi vuoti, molti dei locali lungo il viale chiusi per ferie. In fondo alla strada asfaltata, praticamente deserta, la cornice formata dalla pineta da un lato, le dune e il mare dall'altro, sembrò a Norah una porta su un altro mondo accogliente e familiare: un sentiero verso casa. Sentì le sue paure dissolversi come la brina sui campi al sole, nelle mattine d'inverno.

Aveva quasi lanciato la bicicletta al palo dove l'aveva legata e percorso praticamente a saltelli il pezzo di strada che la separava dal luogo dell'appuntamento, immersa nei profumi di mirto e camuciolo.

«Vedrai che spacchi». Le parole di Lucrezia le avevano fatto da ritornello nel coro dei gridi dei gabbiani che zampettavano sulla spiaggia deserta. Respirava la salsedine a pieni polmoni. In quel luogo dove alberi e cespugli già vestiti dei colori autunnali sembravano godersi la carezza del sole fuori stagione, non le poteva capitare nulla di brutto.

«Ciao! ci sono». La voce uscì senza che lei se ne rendesse conto mentre una vampata di calore le bagnò le ascelle. Se l'avesse abbracciata? se ne sarebbe accorto? E i capelli? Quanto ci aveva pensato. Per renderli più lucidi aveva esagerato con il balsamo. Sarebbero sembrati una matassa appiccicosa?

Si dimenticò ogni cosa nel flusso di parole e luce che la investì insieme alla fragranza di mare.

Dalle dune i raggi del sole già basso dei pomeriggi di novembre filtravano creando una fitta rete di riflessi e luccichii che avvolgeva alberi e cespugli e loro due, i capelli neri di lui e quelli rossi di lei.

«È stupendo quel rosso! Lo sai?»

No, non lo pensava da molto tempo. Era ancora una bambina quando suo padre le accarezzava le trecce rosse, non c'è nessuno con due trecce così, sei una bellezza rara, le diceva.

Sorrise guardando davanti a sé. Non ebbe il coraggio di voltarsi verso di lui, anche se ogni singola cellula del suo corpo era attratta verso quella direzione.

«Andiamo verso il mare? magari l'acqua è sempre calda, chissà!» fece Andreas indicando la passerella più vicina.

Norah pensò al suo costume blu intero, il suo preferito. Che bellezza metterlo e fare il bagno come lo faceva lei, tuffando nell'acqua la sua massa di capelli sciolti che quando emergeva la facevano sembrare una sirena rossa invece che bionda, come nelle immagini classiche. Per lei l'estate era questo. Ogni anno, la prima volta che immergeva tutta la testa nell'acqua di mare e sentiva correre sulla pelle bagnata e salata brividi di freddo che le facevano alzare i peli su tutto il corpo e avvizzire i polpastrelli delle dita, si sentiva attraversare da un sottile fremito di piacere: in quel momento il ricordo del mare le si materializzava nitido alla memoria del corpo. Sotto il pelo dell'acqua con gli occhi socchiusi si sentiva anche lei uno degli abitanti di quel mondo là sotto: i pesci minuscoli delle secche trasparenti di giugno, quando i primi coraggiosi che non temono il freddo si buttano. Le valve vuote dei molluschi che si sollevano dalla sabbia quando il corpo muove l'acqua, oppure le arselle vive che si interrano. Ogni volta una scoperta come la prima volta. Lei riconosceva il mare e lui riconosceva lei.

Imboccarono una delle passerelle che dalla zona delle dune conducono alla riva, in mezzo ai cespugli di more già passate arruffati dai primi venti d'autunno. Il sentiero a un certo punto saliva arrampicandosi su una duna: in cima, si aprì davanti ai loro occhi la distesa dell'azzurro calmo illuminato dalla luce obliqua, che lo faceva sembrare la schiena di un enorme animale addormentato dal respiro tranquillo. Alla fine della passerella si levarono scarpe e calzini e avanzarono nella sabbia tiepida verso la riva, zigzagando tra conchiglie, legni e tronchi abbandonati dal mare.

Ce n'era uno che sembrava proprio una panchina, orizzontale e liscio nella parte centrale, parallelo e vicinissimo alla riva. Gli mancava solo lo schienale. Da lì non si sentiva alcun rumore se non il sottofondo dell'acqua del mare che andava e veniva, su cui qualche grido di gabbiano sembrava una stonatura fuori del coro.

I jeans arrotolati, ogni tanto una lingua d'acqua che si allungava fino a lambire i piedi scalzi, si misero a guardare sotto il pelo dell'acqua bassa, vicino a riva.

«Ci pensi come sarebbe essere come quei gusci di conchiglia rotolati avanti e indietro dalla risacca? Star lì ad aspettare la prossima onda senza fare resistenza?» fece Norah, che si era persa dietro a una conchiglia col manto a pieghe sulle sfumature del marrone che il mare trascinava avanti e indietro.

Proprio in quel momento sentì il braccio del GGG posarsi sulla sua spalla e sfiorarle la schiena nuda. La sua pelle si risvegliò. Dentro di lei un lago caldo e luminoso si aprì di colpo e si allargò a macchia d'olio, in contrasto con il fresco della carezza che l'acqua del mare le procurava ai piedi. Avrebbe voluto voltarsi verso di lui e assecondare l'abbraccio, ma il corpo, improvvisamente diventato di ricotta, non le rispose. Nessuna delle forze che tentò di richiamare riuscì a vincere quell'abbandono. Non trovò di meglio che lasciare scivolare le sue membra morbide in quell'abbraccio come fanno i piccoli di animale, quando sembrano spalmarsi sulle mani che li accarezzano sotto la pancia. Dimenticò ogni cosa, avvolta dal profumo di mare e dal calore della bocca del GGG ormai vicinissima alla sua. Al contatto con le labbra morbide ogni centimetro della sua pelle si sollevò come se l'attraversasse una leggera scossa elettrica. Eccola la sua radura piena di sole al termine del sentiero, che ora le apparve piano e luminoso. Lasciò che la lingua esplorasse il suo palato, le arcate dentali, la curva delle labbra. Il sapore dolce della saliva si mischiò con il gusto aspro della salsedine e con i profumi frizzanti del mare.

Quando riaprì gli occhi vide quelli di Andreas che le sorridevano, ancora molto vicini. Avrebbe voluto farsi avanti e ricambiare come il suo corpo le diceva, ma non trovò le forze necessarie. Gli sorrise un po' stordita, il corpo ancora molle quando si alzò e lo seguì con i piedi nell'acqua. Cercò delle parole da dire ma nell'immediato non le trovò, la testa come immersa in una nebbia lattiginosa.

Quella distesa addormentata era già striata di rosa quando imboccarono il sentiero verso le dune. Il loro ridere di nulla si mischiava agli altri rumori della natura mentre Norah camminava senza peso sullo sterrato tra sassi e foglie secche volate dai cespugli intorno.

Solo quando salì sulla bici per imboccare la via di casa si ricordò che non si erano detti nulla, ci vediamo, nessun appuntamento. Andava bene così?

Sentì in bocca il suo sapore e nelle narici il profumo di mare. Se li sarebbe portati a scuola domani all'ingresso in classe, di questo era certa. Sarebbe entrata e l'avrebbe salutato sorridendo. All'intervallo gli avrebbe parlato. Avrebbe guardato tutti in faccia senza distogliere lo sguardo. Pedalava come se volasse.

Mentre oltrepassava il cancello non badò allo scricchiolare delle foglie cadute sotto la ruota della bici. Il suo platano ora era immerso nel buio ma lei era una scheggia di luce.

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