Capitolo VII. Non ci sono alci da queste parti

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Cosa credeva di fare, parlandole in quel modo? Voleva fare lo psicanalista? Psicanalizza i tuoi problemi! Hannah gettò lo straccio dietro di sé, sul piano della cucina, e si avvicinò al tavolo.

«Cosa credi di sapere su di me? Sulle mie ragioni? Io vivo qui perché lo voglio, perché voglio portare avanti l'attività di mio padre, perché non me ne frega niente di quello che c'è là fuori!»

Thranduil strinse gli occhi. «Sei stata abbandonata e non vuoi che capiti di nuovo. Allora tieni tutti alla larga, sperando di non affezionarti a nessuno, di non essere più abbandonata. Non negarlo, perché riconosco i segnali, li ho già visti».

Hannah strinse i pugni, non doveva colpirlo, non doveva. Né con le mani, né lanciargli contro un piatto.

La violenza è per gli stupidi e per chi ha torto, le aveva detto una persona, anni fa, quando alla scuola primaria aveva picchiato un compagno che non la pensava come lei. Quella persona che se n'era andata. Che l'aveva abbandonata, come diceva Thranduil.

Ma chi era lui per parlare della sua vita e dirle come viverla? Ma soprattutto, come aveva scoperto quelle cose? Cosa ne voleva sapere di quella persona? Credeva di conoscere Hannah, solo perché avevano passato quei due giorni insieme? Credeva bastassero due dannatissimigiorni, quando alcuni passano dieci anni e più insieme per poi accorgersi che non si conoscevano davvero?

«E dimmi, in chi li hai visti i segnali? In te stesso? Ti senti abbandonato e quindi hai rinchiuso te e il tuo popolo in una fortezza, hai voltato le spalle al resto mondo perché hai paura di soffrire?» Hannah si posò una mano sulla bocca e assunse un'espressione impetosita. «Oh, povero, quanto sarai triste nel ritrovarti qui, lontano da qualsiasi possibilità di sofferenza, finalmente al sicuro, finalmente libero da ogni responsabilità verso gli altri popoli».

Un muscolo guizzò sotto la pelle della guancia di Thranduil. Era arrabbiato? Stupendo!

«Che tu cerchi di farti piacere da tutti o che tu tenga tutti a distanza per non creare legami: il motivo è sempre lo stesso». La voce di Thranduil era bassa, come se stesse ringhiando.

Di chi parlava? Hannah sapeva di certo di non essere una che cercava di farsi piacere da tutti. Aprì la bocca per parlare, ma lui non gliene diede la possibilità.

«E non parlare delle mie motivazioni, non hai idea di cosa significhi essere responsabile di così tante vite. Non hai nemmeno idea di come prenderti cura di un gregge: è appena morta una pecora sotto la tua protezione e non hai cercato la ragione, sei fuggita dalla responsabilità, haivoltato le spalle. Rifiutati di guardare e l'unico risultato che otterrai saranno altre pecore morte, finché non resteranno altro che stalli vuoti dove prima c'era il tuo gregge».

«Perché mi stai dicendo queste cose? Perché mi stai attaccando? Non potevi lasciarmi in pace, tenere le tue considerazioni da Elfo per te e andartene senza mettere becco nella mia vita?»

Thranduil si alzò dallo sgabello e fu come il levarsi di un'onda - lenta, scura e minacciosa.

«Perché, Thranduil, perché mi dici parole che non voglio sentire?» Forse stava giocando col fuoco, stava attaccando una bestia più grossa e cattiva di lei, ma non poteva accettare che lui le parlasse in quel modo.

Thranduil piegò la testa di lato. Schiuse le labbra, corrugò la fronte e per un attimo sembrò voler rispondere.

Poi scosse la testa.

Stradannazione.

Non la considerava degna di una spiegazione? Ma Hannah non voleva i suoi consigli, non voleva la sua comprensione. Voleva essere lasciata in pace, voleva la solitudine della brughiera, il conforto di sapere che almeno suo padre non l'avrebbe mai abbandonata, che Sandra avrebbe potuto essere sua amica per lungo tempo perché, in fondo, anche Sandra si appigliava a lei, mentre la gente che avevano conosciuto a scuola cambiava e lasciava il paese.

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