Capitolo VIII. La curiosità inciampò l'Elfo

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Il sole tramontò mentre erano nel boschetto sul retro della fattoria e Thranduil estrasse la torcia artificiale dallo zaino. Lui vedeva, ma Hannah era una mortale ed era in quei casi che gli Uomini avevano bisogno delle torce, no?

«Trovi sempre una buona scusa per usarla» rise Hannah.

«Non ne hai bisogno?»

«Grazie del pensiero, ma non ancora». Lo stava persino ringraziando. Era cambiato l'umore da quel mattino.

Forse ridere delle sue visioni la aiutava a dimenticare quello che le aveva detto, di certo Hannah non era colpita quanto lui dall'alce morto. Ma Thranduil vi vedeva la distruzione del suo regno. Da quanti giorni mancava? Due, tre? L'attacco degli Orchi doveva essersi concluso e Thranduil non ne conosceva l'esito. Si era lasciato distrarre da quel mondo, dalla sua ospite e aveva quasi dimenticato, solo per un attimo, in che occasione era sparito dalla Terra di Mezzo. Si erano accorti della sua assenza? Legolas aveva preso il comando dei soldati e aveva respinto l'attacco?

Ho sognato Legolas re. Aveva la tua corona. E un'altra corona, sul petto, di frecce nere. E gli alberi in fiamme, e un grande occhio-

Le parole di Arodel furono uno schiaffo inaspettato. Era stata la premonizione di madre a mostrarle quella scena o si era trattato di un sogno dettato dalla paura? Thranduil ricordava gli incubi che lo avevano tormentato prima della Guerra dell'Ultima Alleanza: aveva visto draghi alati bruciare i soldati nelle loro stesse armature, se i balrog non li falciavano con le loro fruste, per poi trovarsi davanti a un esercito di Orchi e troll, una pallida imitazione - ma non meno distruttiva - dei terrificanti eserciti di Morgoth. Non poteva che sperare che il sogno di Arodel fosse della stessa natura.

Ma Thranduil aveva il nome dell'autore dei libri. Tolkien. Avrebbe dovuto cercare nella libreria appena possibile. Doveva scoprire cosa ne sarebbe stato di Legolas, cosa ne sarebbe stato del suo regno.

Entrati in casa, Hannah si mise a preparare la cena e Thranduil si occupò della tavola, poi sedette a uno sgabello e la osservò muoversi nella cucina, con la stessa sicurezza con cui si muoveva nella brughiera. Da quanto tempo si occupava della casa? Da quando se n'era andata sua madre e lei era ancora una bambina?

Alla sua destra, i piccoli draghi - i dinosauri - attirarono il suo sguardo. Thranduil afferrò il tirannosauro e sorrise. Hannah lo aveva paragonato a quella creatura: sapeva che lei non lo aveva inteso come un complimento, ma il paragone non poteva non divertirlo.

Soprattutto perché il dinosauro che rappresentava Hannah non aveva nulla a che vedere con lei.

Erano entrambi tirannosauri, Hannah e lui.

Thranduil incontrò lo sguardo di Hannah, le mani poggiate sul tavolo, i gomiti in fuori, e la fronte corrugata.

«Mettiamo il caso che la tua... allucinazione non sia stato frutto della nostalgia di casa».

Thranduil non le sottolineò, di nuovo, che non si era trattato di un'allucinazione - non se lei lo diceva con quel tono condiscendente, come se lui fosse pazzo e avesse iniziato a vedere cose che non c'erano. Se avessero cominciato a discutere su quel punto, Hannah non avrebbe più concluso il suo discorso.

Anche se una precisazione doveva farla.

«Cosa ti fa pensare che fosse la nostalgia di casa ad avermi fatto vedere il mio alce? Non è di certo quello che mi manca di più. Avrei potuto vedere Legolas, o Tauriel e le guardie, il mio palazzo. E invece ho visto l'alce: mi è caro, ma non è ciò che mi manca di più».

Hannah sollevò gli occhi al cielo e sembrò considerare la cosa. «Con questo, torniamo al punto che volevo fare».

Thranduil le fece segno col capo di continuare.

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