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Dovrei essere felice di questo: sono nel giardino sul retro della casa dei miei fratelli e di mio zio, sia io che papà avevamo ragione sul fatto che avrebbero organizzato una festa per me, e non solo ci sono persone di questo quartiere, ma anche Jesús, i suoi amici, la sua famiglia, ma questo non fa altro che agitarmi ancora di più. È come se mi trovassi in un campo minato, come se da un momento all'altro potesse esplodere tutto. Ho bisogno di allontanarmi un po' da tutto questo, sembro essere l'unica agitata, tutti si comportano come se fino a ieri non si fossero puntati armi contro, questa cosa mi preoccupa ancora di più. Mi giro per andarmene in fretta, e mentre mi allontano il cuore inizia a battermi forte, come se stessi andando nel panico. Qualcuno mi afferra, mi giro a guardare chiunque sia, si tratta di Cesar.

«Dove stai andando? La festa è per te, non puoi andartene, e lo sai che non ti devi allontanare.» mi dice.

«Io... ho...» scoppio a piangere e lui corruccia la fronte.

Mi hanno sparato, avrei dovuto pensare a me quando mi hanno portata qui invece che portarmi a casa mia, perché sono nel territorio di una banda, circondata da membri di due gang che fino a ieri si odiavano... non so nemmeno chi mi ha sparato, potrebbe essere stato uno di loro.

Ci siamo un po' allontanati da tutta quella gente, almeno, siamo praticamente di fronte alla casa, se lui non mi avesse fermata non so dove sarei andata.

«Princesa guardami. Respira. Inspira ed espira con me.» lo guardo e provo a fare come mi ha detto mentre credo di stare avendo un attacco di panico: «Brava, brava, continua così. Sei al sicuro qui.»

Mi attira a sé e mi abbraccia, chiudo gli occhi e cerco di concentrarmi sul battito del suo cuore mentre inspiro ed espiro come mi ha detto lui.

Non so che cosa mi sia preso, ma tutte quelle persone, le risate, le urla, la musica, le chiacchiere... mi sembrava di essere tornata sul molo di Santa Monica, a quella sera...

Si allontana quel poco che basta per guardarmi, prende il mio viso tra le mani.

«Dove volevi andare? Ti ci porto io... ti porto dovunque...» qualcuno lo afferra spingendolo lontano da me, guardo Jesús che tiene le mani strette in due pugni.

«Fatti i cazzi tuoi, la porto io dovunque voglia andare, di te non ha bisogno.» gli dice Jesús.

Io non voglio questo, non voglio che Jesús ce l'abbia con Cesar e gli dica di starmi lontano, lui è mio amico, da piccola era lui a starmi vicino quando tutti sparivano o litigavano.

Cesar ride e va verso di lui sferrandogli un pugno dritto in faccia, i due iniziano a picchiarsi senza pensare al fatto che io sia qui, davanti a loro, arrivano anche gli altri che però non si mettono in mezzo nemmeno per dividerli, ma per fortuna arrivano Álvaro e Diego a farlo, mi giro e, senza dire assolutamente niente, raggiungo la porta ed entro in casa andando dritta in camera mia.

Jesús ha sbagliato ad afferrarlo in quel modo e a spingerlo, ma Cesar ha sbagliato a tirargli quel pugno, ed entrambi hanno sbagliato ad iniziare a picchiarsi.

Mi siedo sul letto e prendo la spazzola, ma non riesco nemmeno a spazzolarmi i capelli perché se muovo anche solo per sbaglio la spalla sinistra sento un dolore allucinante, la fascia tiene il braccio fermo ma devo comunque stare attenta ad alcuni movimenti. Qualcuno bussa anche se la porta è aperta, Jesús mi guarda e si appoggia al muro con le mani in tasca.

«Scusa, non avrei dovuto reagire in quel modo, è solo che... vorrei che se tu avessi qualche problema venissi da me. Possiamo cercare di risolvere ogni cosa insieme.» mi dice.

«Non riuscivo a parlare.» sussurro.

«Parliamo di quello che è successo? Ti fa bene parlarne.» abbasso lo sguardo, lui viene a sedersi accanto a me e prende la spazzola, iniziando a pettinarmi.

Apprezzo che sia corso qui a chiedermi scusa, spero solo che non accada più, perché ho così tante cose per la testa che non mi voglio mettere a pensare anche a lui e a Cesar che non si sopportano.

«Ho paura che mi possa succedere qualcosa... là fuori mi sentivo come se fossi in un campo minato. E se chi mi ha sparato si trovasse in giardino, in questo momento?» gli chiedo preoccupata.

«Dicono che è stato uno di noi perché non sanno a chi altro dare la colpa, ma tu non devi ascoltare queste stronzate. Le persone che ci sono là fuori si prenderebbero tutte un proiettile per te, tu lo sai.» mi dice, per poi alzarsi e piegarsi davanti a me: «Finché ci sono io con te tu sarai sempre al sicuro, te lo giuro, non permetterò mai più a nessuno di farti del male, mai.»

«Dici che... che riuscirò a diplomarmi e a ritirare il mio diploma con tutti gli altri?» gli chiedo, lui sorride.

«Certo, e io sarò in prima fila ad applaudire per te.» sorrido e lui si rialza dandomi un bacio sulla fronte.

Parlare con lui mi ha sicuramente aiutata, probabilmente non mi sarei dovuta fare mettere in testa che uno di loro mi ha sparato, è assurdo anche solo pensarlo.

«Ti ho pettinata, ma se vuoi che te li leghi è meglio che chiami qualcuno che è capace.» mi dice.

«No... grazie, puoi restare qui con me finché non mi addormento?» gli chiedo.

«Certo, però teniamo la porta aperta... evitiamo qualche fraintendimento con i tuoi fratelli.» annuisco.

Se chiudessimo potrebbero pensare che stiamo facendo qualche cosa, meglio di no, mi sdraio, perché non ho nemmeno le forze di cambiarmi, e lui si sdraia accanto a me abbracciandomi. Guardo il soffitto e poi mi giro a guardarlo, mi sorride. È bello averlo qui, ed è bello che l'abbiano accettato, in un certo senso.

«Sei al sicuro, davvero. Lo sono io, figuriamoci tu.» mi ripete, e in effetti ha ragione.

Si avvicina a mi dà un bacio a stampo sulla bocca, sorrido e mi accoccolo di più a lui: soltanto ora mi sento davvero al sicuro.

PrincesaTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon