Flashback​🌌 2016

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Il professore stava spiegando l'ultimo problema di matematica quando suonò la campanella di fine giornata.

Lo stridere delle sedie sul pavimento riempì la classe, insieme agli schiamazzi degli studenti che sistemavano i libri dentro gli zaini.

In mezzo al via vai dei quattordicenni, c'era Stella nella sua tranquillità. Nell'angolo in fondo all'aula, con i capelli legati in una bassa coda, mise l'astuccio nel suo zaino e portò lo sguardo fuori dalla finestra. Diluviava.

Era il classico acquazzone autunnale che quando inizia, ti tiene compagnia per ore.

Il cielo di Oakdale era grigio e buio, e il rumore della pioggia batteva sul vetro con violenza. Nel giro di pochi minuti, la classe sprofondò in un silenzio totale, e la voce dei centinaia di ragazzini risuonava più lontana.

Stella scese al piano di sotto, e si dovette fermare sull'atrio scolastico. Di fronte a lei c'era un muro di studenti che cercavano i loro genitori; piano piano, lasciavano la tettoia coperta e andavano a ripararsi sotto il loro ombrello aperto.

Guardare i sorrisi delle madri non appena abbracciavano i propri figli, le spalle bagnate dei padri pur di tenere all'asciutto le proprie figlie, era troppo doloroso per lei, perciò si limitava a tenere d'occhio le punte delle sue scarpe fino a quando il muro si dissipava e arrivava il suo turno.

Uscì dalla tettoia senza preoccuparsi di controllare i pochi volti rimasti, si coprì con le mani e iniziò la corsa: calpestò più di qualche pozzanghera, continuò con il fiato corto e i polpacci che andavano a fuoco. I capelli fradici, così come i calzini, poi fu il turno anche della felpa, i jeans lunghi e la cartella.

Sperò solo che i libri si fossero salvati, ma le era già successo che, tornata a casa, dovesse appenderli nello stendi biancheria per farli asciugare. Quella volta, la nonna scoppiò a ridere, chiedendole se avesse cambiato stile di abbigliamento.

Svoltò a destra, lungo la via di casa, e dopo gli ultimi metri di corsa, raggiunse il cancello che trovò stranamente aperto. Non si fece molte domande, entrò chiudendoselo alle spalle per raggiungere il più in fretta possibile la tettoia di fronte casa.

Si piegò un momento sulle ginocchia per riprendere fiato. Se la nonna l'avesse vista tornare tanto esausta, si sarebbe sentita in colpa per non essere andata a prenderla, ed era l'ultima cosa che voleva.

«Ci sono!» esclamò buttando fuori l'aria un'ultima volta. Si diede qualche buffetto sulle guance per allontanare la stanchezza e bussò alla porta. «Nonna!» la chiamò. «Nonna! Sono Stella!»

Aspettò qualche secondo.

La pioggia si faceva sempre più chiassosa tutt'attorno.

«Nonna!» bussò ancora.

Avvicinò l'orecchio alla porta, ma non sentiva nulla.

Guardò spazientita il campanello; qualche giorno prima si era rotto all'improvviso, non erano ancora riuscite a capire come fosse successo, e l'elettricista sarebbe venuto con l'inizio della settimana successiva.

Il frastuono dell'acquazzone stava di sicuro coprendo la sua voce; guardando attorno però, notò un'altra cosa strana: la finestra del salotto era aperta.

Non è da lei, pensò.

Le goccioline di pioggia sbattevano contro il vetro e finivano direttamente all'interno.

«Non è proprio da lei» sussurrò con il cuore galoppante.

Uscì dalla tettoia, raggiunse la finestra e l'aprì del tutto; lanciò lo zaino dentro casa.

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