chapter 2

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Gli incubi non erano mai stati tanto frequenti quanto nel periodo della mia giovane età che più mi aveva sconvolto. Per non parlare degli attacchi di panico che stavano iniziando a diventare insopportabili anche solo da affrontare fino alla loro fine.

Non mi ero mai posta il problema del perché avessi questa strana ansia ad attorcigliarmi le budella all'interno del mio organismo, ogni qual volta qualcosa di irrazionale aveva inizio.

Poteva essere una semplice parola a scatenare questa reazione improvvisa oppure un ricordo della mia vita passata che più volte avevo cercato di lasciarmi alle spalle.

Sapevo di dover essere abituata a sentirmi impotente, sempre bisognosa di rifugiarmi nell'alcol o in altre cose meno sensate del mondo, ma non lo ero mai stata.

I miei pensieri erano fin troppo ingombranti persino per me, per non parlare del peso sul petto che avevo sin dalla mia giovane età.

Non ne facevo un dramma. Che motivo avevo di mettere in mostra le mie difficoltà e i miei segreti più oscuri davanti a qualcuno che probabilmente voleva solamente approfittare delle mie insicurezze?

Ciò però mi portava solamente a distruggermi interiormente e se ripensavo a cosa loro avevano passato a causa mia, era quasi un sollievo poter assaporare un po' di dolore per compensare la morte che avevo schivato pochi anni prima.

Ma questa cosa invece di farmi riappacificare con me stessa, non faceva altro che farmi desiderare di essere da qualsiasi altra parte che non fosse sulla terra.

Non ero masochista. Non provavo piacere nel sentirmi umiliata o nel farmi del male, ma credevo fermamente - o almeno cercavo di convincermene - che il modo per poter ripagare una specie di conto in sospeso lasciato aperto nei loro confronti, era avvicinarmi a quella agonia che quelle persone hanno provato nell'esalare l'ultimo loro respiro quella notte.

O per lo meno fu così fino alla tanto attesa della comparsa di zio Sam.

Ammetto che per una ragazza nel pieno della sua adolescenza, anche se ella fosse molto più matura di qualsiasi altra persona con i suoi stessi anni, era davvero stancante cercare di adattarsi al mondo adulto soprattutto per quanto riguardava il lavoro. Ma anche trovare l'equilibrio più stabile, per smettere di farsi catturare nuovamente dalla voragine di vuoto nella sua mente era uno sforzo duro, ma pur sempre necessario.

Dopo essere fuggita vergognosamente dalla mia abitazione - secondo la legge -, mi ero recata nell'unico posto in cui sapevo non avrei trovato alcuna tipo di presenza asfissiante, o almeno qualcuno di non mia conoscenza.

A Seattle, dopo una moltitudine di strade affollate, a fianco della biblioteca comunale si trovava una tavola calda malandata e ormai sull'orlo del fallimento.

Era quello il mio rifugio sicuro quando mi era possibile uscire di casa, e nonostante fosse notte inoltrata, quel piccolo bar rimaneva aperto h24, ed era uno dei motivi per cui amavo trascorrerci il tempo.

Non appena spalancai la porta di ingresso, il campanello sulla soglia, avvertì i presenti della mia comparsa. A ciò ero però comunque abituata, infatti mi recai subito dopo a uno dei tavoli appartati all'angolo poco frequentato di solito dalla clientela senza degnare nessuno di un'occhiata, mentre il mio sguardo si posava sulla pioggia che si schiantava violentemente sulla strada.

Quello che non riuscivo a smettere di chiedermi era che cosa diavolo ne sarebbe stato di me.

Non avevo più un tetto sopra la testa, i miei risparmi ormai erano al termine e nessuno nella città amava offrire un lavoro ad una ragazza nel pieno dei suoi 16 anni, a meno che quest'ultima non decidesse di fare la squillo. Cosa alquanto disgustosa dovevo dire.

Fino a te.. [in pausa]Where stories live. Discover now