Chapter 6

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CHAPTER 6

RAY

Non so dove siano gli altri. Non so cosa abbiano visto, non so se alcune scene combacino, non so cosa stiano provando in questo momento.

So solo che dopo il vecchio me che si richiude la porta della casa di Gerard alle spalle, la scena sparisce. Mi ritrovo nella stanza in cui eravamo all'inizio, completamente solo.

Mi guardo intorno, cercando di regolare il mio respiro. Prendo profonde boccate d'aria, inspirando ed espirando, provando a scacciare dalla mia mente ciò che ho rivissuto poco fa, provando a tenere lontana questa sensazione.

Questa sensazione.

È una sensazione strana, e forse l'ho provata altre volte, ma non di certo in modo così prorompente e intenso come adesso.

Mi sento sull'orlo di un precipizio.

Sento di voler cadere.

Voglio lanciarmi nel vuoto e non pensare più a nulla, lasciarmi andare, cadere velocemente e sfracellarmi al suolo, facendola finita. Mi guardo indietro, e vedo tutto il cammino che ho fatto fino ad ora, e penso che non è servito a niente, non è servito assolutamente a niente. Non sapevo che alla fine del sentiero ci fosse un precipizio, non sapevo che sarebbe finita così, e allora rivedendo tutto ciò che ho passato, tutti gli ostacoli che ho superato, tutte le prove a cui mi hanno sottoposto e anche tutti i momenti felici, penso che è stato solo un grandissimo spreco di tempo.

A cosa è servito?

Cosa è rimasto?

Sono rimasto solo io. E forse neanche tutto intero.

Dopo qualche istante, vedo Mikey comparire accanto a me. Mi avvicino subito a lui, afferrandogli una spalla, ma lui indietreggia spaventato, fissandomi con occhi vitrei.

-Ray...

Annuisco. –Stai bene?

Lui mormora un sì soffocato, e lo vedo guardarsi intorno con aria sconvolta. Gli do il tempo di rendersi conto della situazione, poi mi avvicino di nuovo. –Hai visto per caso Frank? O Gerard?

Mikey scuote piano la testa. –Frank...

So a cosa sta pensando. Sta pensando al loro litigio, quello che ha appena rivisto qualche minuto fa. Sta pensando a quanto sono stati stupidi, a quanto siamo stati stupidi, e gli leggo negli occhi il rimorso di non aver mai chiesto scusa per tutto ciò a nessuno.

-Non è stata colpa tua, Mikey. – mi viene da dirgli spontaneamente, per rassicurare sia lui che me, o forse soltanto pronunciando quelle parole ad alta voce per renderle vere.

In fondo sono vere. È la pura verità. Può essere stato lui a scatenare il tutto, può essere stato lui a far scattare il litigio, ma sarebbe successo lo stesso, in un modo o nell'altro, presto o tardi.

Doveva succedere e basta.

Mikey annuisce. –Sì. Forse hai ragione.

Sto quasi per abbracciarlo, ma mi trattengo. Non so perché lo faccio. Ci starebbe un abbraccio in questo momento. Per confortarci, per sapere che non siamo soli in questa situazione, e per fargli capire che credo davvero a quello che gli ho detto.

Ma in qualche modo adesso siamo come vecchi amici d'infanzia che si incontrano dopo decenni, alquanto imbarazzati, cercando un qualsiasi spunto di conversazione per ammazzare il silenzio carico di tensione che si è venuto a creare tra loro.

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