6 - Oscurità come proiettore

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Ducan salì sulla Mercedes e se ne andò, prima, però, diede appuntamento ad Anita al pomeriggio per fare un giro in macchina e parlare così dei Giochi.

Lei rimase pochi istanti davanti al Great Purgatory, con le braccia lungo i fianchi, mentre un filo di vento le faceva svolazzare la lunga gonna nera in seta. Poi però si voltò, aprì le porte in vetro e salì con l'ascensore fino al suo appartamento.

Anita, senza indugiare, sbloccò la cassaforte, tirò fuori i documenti riguardanti il Gioco, prese la sua penna, poi si sedette in salotto e continuò da dove aveva lasciato la sera prima.

Solitamente non doveva compilare gli spazi vuoti a mano, ma la stampante si era rotta e i documenti di scorta che usava agli inizi erano lasciati in un cassetto per le evenienze e quella, essendo un'urgenza bella grande, aveva richiesto l'utilizzo di quelle stampe. Quella stampante serviva. Anita stava aspettando solo che arrivasse, sfortunatamente l'avrebbe potuta utilizzare solo dal prossimo Gioco in poi.

Le toccò, quindi, scrivere su ogni foglio i suoi dati a penna, come si sarebbero svolti i Giochi, quali sarebbero stati i rischi, quanto avrebbe guadagnato il vincitore, il numero massimo di partecipanti e infine la sua firma. Scriveva il contratto. Serviva a lei e a ogni partecipante: questo tutelava i Giocatori: Anita affermava di farli giocare in un'Arena adeguata al tipo di Gioco, li metteva al sicuro e in caso di infortuni nelle sue Arene sarebbe stata lei a risarcire i danni.

Anita Venom, si occupava di tutto e ne era felice così, perché, spesso, oltre a organizzare i Giochi, era lei stessa a prenderne parte. Ma nessun imbroglio, lei giocava e basta, perché nei suoi Giochi non c'era modo di vincere ingannando.

 Ma nessun imbroglio, lei giocava e basta, perché nei suoi Giochi non c'era modo di vincere ingannando

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«È stata lunga la chiacchierata con Ducan», fece la sua entrata in salotto Hunter, finalmente vestito. Sembrava di fretta, non stava un attimo fermo.

«Avevamo parecchio da dirci, sì». Anita non gli prestò particolare attenzione, concentrata a scrivere e riscrivere a mano le stesse cose per un numero di volte spropositato. Hunter la osservò per un attimo prima di aprire bocca.

«Esco, tornerò per pranzo, vuoi che mangiamo da asporto?»

«Sarebbe un'ottima idea,» Anita guardò l'orologio sulla parete accanto la cucina e storse le labbra, «ma sono quasi le undici, termino qui e mi addormento, non ho appetito», rispose, posando la penna sul tavolo, mentre osservava Hunter già vicino al portone.

«Va bene. Ti dispiace se prendo le chiavi di casa, allora?»

«No, fai pure». Lei gli sorrise e lui annuì, prese le chiavi e uscì dall'attico. Anita, nel frattempo, impugnò la penna e studiò il foglio per trovare il punto in cui era rimasta.

 Anita, nel frattempo, impugnò la penna e studiò il foglio per trovare il punto in cui era rimasta

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