Capitolo venti

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Una caratteristica che James diceva sempre di amare in Irwin era la sua calma. La strega bianca infatti, al contrario di James, che seguiva una specie di carpe diem tutto suo, ragionava molto sul da farsi. Aveva sempre un piano B per tutto, e se quello non funzionava ne aveva uno di scorta, e poi quello di scorta alla scorta e poi quello di scorta alla scorta della scorta, e via dicendo. Non faceva mai trapelare nessuna emozione: la sua poker face era qualcosa di indescrivibile, come se il ragazzo ci avesse studiato sù per anni (e, conoscendo il defunto padre, ciò era molto probabile). Eppure, quella sera, James giurò di vedere un barlume di paura attraversare gli occhi di Irwin nel momento in cui ebbe realizzato cosa stesse succedendo.

Amaris aveva distrutto le barriere magiche che James in persona si era occupato di rafforzare, giorni prima, e adesso era dentro le mura di Alvagar, diretta probabilmente a Palazzo. La stanza cominciò a girare, per Irwin, e delle gocce di sudore gli scesero lungo la fronte.

"Sire?" Domandò Joan, avvicinandosi al suo re per assicurarsi che stesse bene.

Era come se un elefante fosse seduto sul suo petto, rendendogli così in possibile respirare. Era affaticato come se avesse corso per miglia, tremava e stava sudando freddo. Sapeva bene cosa gli stesse capitando: era attacco di panico. E la cosa ironica era che non ne aveva uno da tempo. Era convinto di essersene liberato. E invece.

"Sto bene." Gracchiò, afferrando la propria camicia con la mano destra nel tentativo di massaggiarsi il petto. "Joan, schie- schiera l'esercito a protezione del castello, e- diamine, mandate una lettera ai regni vicini: abbiamo bisogno di più combattenti possibili perché..." respirò a fatica, mentre James osservava la scena, preoccupato, non sapendo cosa fare se non reggerlo e asciugargli la fronte sudata con un fazzoletto. "Ho- l'impressione che non sarà una guerra facile."

Joan annuì e, senza aggiungere altro, si congedò. Solo allora Irwin si permise di stare veramente male.

"James." Singhiozzò, poggiando il capo sul petto del maggiore, che prese ad accarezzargli la schiena con dolci movimenti circolari. "Ho paura."

"Respira, piccolo mio, d'accordo?" Provò a tranquillizzarlo James. "Andrà tutto bene. Amaris cerca me, giusto? Quindi..."

"No!" Protestò Irwin, incatenando i suoi smeraldi verdi ai suoi zaffiri blu. "Non puoi sacrificarti per Alvagar."

James sbuffò una risata. "Magari non mi vuole morto. Magari vuole solo usarmi o... qualcosa del genere, ecco."

Irwin scosse la testa, adesso il respiro tornato regolare. "Non esiste. Tu- rimarrai qui, al mio fianco."

"Se è ciò che desideri..." non appena Irwin gli si fiondò tra le braccia, James si morse un labbro.

La sua mente pensò rapidamente a cosa fare e tutte le sue idee portavano ad un'unica persona. James scosse la testa. Ah, no. Non importava se fosse potenzialmente una delle poche persone a poter dare una mano con Amaris: non lo avrebbe mai disturbato dal suo regno dopo che non lo sentiva da quando aveva sedici anni. No. Mai. Nemmeno per sogno.

Però, Irwin stava ancora singhiozzando sulla sua spalla. Il giovane e bello re di Alvagar aveva paura di combattere una guerra che già sapeva che avrebbe perso. E James era orgoglioso, sì, da morire, ma il suo amore per Irwin era di più. E avrebbe fatto di tutto per lui.

"Piccolo- ehi, piccolo." James lo allontanò dolcemente da lui. "Ascoltami un secondo, okay? Ho un'idea che potrebbe salvarci tutti, ma ho bisogno di allontanarmi da te per un po', d'accordo?"

Il Medaglione Di AlvagarWhere stories live. Discover now