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DISCLAIMER: Attenzione! Questo capitolo contiene delle situazioni che potrebbero essere considerate disturbanti o angoscianti. Sconsiglio la lettura a un pubblico impressionabile o sensibile.



Capitale Città-Stato di Cronon

Regno di Cronon



La sala delle cerimonie era stata agghindata per l'occasione. Enormi lampadari erano stati accesi e la loro luce calda e confortevole illuminava le colonne in marmo e gli intricati arazzi appesi a ogni parete. L'intero salone era abbellito da piante e fiori colorati. Enormi tavoli ovali erano coperti da sontuose tovaglie blu notte con al centro lo stemma del Regno di Cronon: una fiaccola dorata.

Liana aveva sempre avuto una certa ammirazione per il significato che quel simbolo prometteva di rappresentare: una luce nell'oscurità, un faro di conoscenza e speranza, che poi il Regno riuscisse effettivamente ad adempiere a quel compito era un'altra storia.

Sospirò, avrebbe preferito di gran lunga qualcosa di molto più intimo, dove avrebbe potuto chiedere in fretta quello che le serviva e poi andarsene via. Invece era lì a sorseggiare del vino e a dover salutare e intrattenere conversazioni frivole con tutta l'aristocrazia di Cronon.

La donna era cresciuta, come ogni altro bambino in tutta Ashima, con un'ammirazione quasi maniacale per quella piccola città-stato tra i Monti di Mezzo. C'era un detto che riguardava quel luogo: se qualcosa cerchi, a Cronon la troverai.

Nel Regno vi risiedevano le più grandi menti di tutto il continente; inventori, scrittori, artisti, medici. Cronon pareva avere tutto, ma dietro la idilliaca facciata sontuosa che tutti gli altri ammiravano c'era qualcosa di più oscuro.

Per mantenere quell'ideologia, Cronon aveva dovuto rinunciare a qualcosa di incredibilmente raro e prezioso: la libertà.

Ogni singolo abitante del Regno al compimento dei diciotto anni d'età era chiamato dinanzi al Consiglio Supremo. Un gruppo formato dalle menti più eccelse che Cronon potesse offrire e solo loro avevano l'arduo quanto delicato compito di decidere del destino di ogni singola anima.

Attraverso dei test ben studiati e delle complicate prove, il Consiglio doveva assegnare al giovane di turno un lavoro che avrebbe mantenuto per il resto della sua vita. Il giudizio finale era intoccabile: potevi nascere in una famiglia di taglialegna e diventare un ingegnere, oppure, potevi nascere tra i ranghi più alti dell'armata del regno e diventare un cameriere.

Ma, come nella maggior parte delle cose che pretendevano di essere così tanto imparziali, il gioco era truccato.

Qualora una scelta finale considerata disonorevole ricadeva sulla Famiglia Reale o su quella del Primo Consigliere vi erano escamotage e sotterfugi per evitarla.

«Vostra Maestà» una voce alle sue spalle distolse Liana dai suoi pensieri.

La donna si voltò, trovando dinanzi a lei tre figure. L'uomo che l'aveva chiamata era alto quasi due metri, dei folti e brizzolati capelli e una barba curata della stessa tonalità. Un'espressione attenta e cauta dietro a due paia di occhi celesti, freddi come il ghiaccio. Accanto a lui, una donna molto più bassa. Uno chignon castano perfettamente ordinato e due paia di occhi scuri. Il volto segnato dal tempo le dava un'aria austera. Per ultima, quella che Liana suppose fosse la figlia. Una giovane ragazza, i capelli simili a quelli della madre erano agghindati in una delicata treccia adagiata sulla spalla destra. Gli occhi identici a quelli del padre. Un cipiglio annoiato a corrucciarle la fronte dava la sensazione che avrebbe preferito essere ovunque, tranne che lì.

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