6 LOGAN.

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«Logan... Logan...» chi c'è? Chi mi chiama? La voce ha un suono famigliare, mi riporta alla mente un ricordo: sto giocando sull'altalena e dondolo troppo forte, per ciò, cado a terra e mi faccio male.

«Logan, quante volte ti ho detto che devi stare più attento, rischi di farti davvero male!» mi rivedo, ero solo un bambino.

Vorrei non averla mai conosciuta.

Il piccolo Logan ha gli occhi gonfi di lacrime e un graffio sul ginocchio quando la vedo andargli incontro. Rivedo i suoi capelli neri, raccolti in una coda. Il suo vestito a fiori che la avvolge come fosse un abbraccio e sento il suo profumo. Scosso da una scarica elettrica, chiudo gli occhi e li riapro in un lampo. Intorno a me solo oscurità.

«Bastardo! Sei un maledetto bastardo» la sua voce nella testa mi fa male al petto, come se mi stesse strappando via il cuore.

Mi sveglio di soprassalto, con la fronte sudata, la gola arsa e un cazzo di mal di testa capace di risvegliare anche un morto.

Guardo fuori dal finestrino chiedendomi cosa cazzo mi sia passato per la testa quando ho accettato le condizioni di quel maledetto stronzo.

Almeno durante il viaggio ho qualcosa con cui distrarmi: Emily, la nostra hostess, ha un culo che grida "toccami". Un ottimo passatempo.

Peccato che non si faccia avvicinare in nessun modo, forse perché mio padre le ha imposto alcune regole che deve seguire se vuole continuare a guadagnare uno stipendio a sei zeri. Come biasimarla d'altra parte? Mi limito a godermi quello spettacolo mentre butto giù, in un colpo solo, il bicchiere di Dalmore che ho appoggiato sul tavolo poco prima del sonnellino.

"Sonnellino" non sembra essere il termine più appropriato ma, comunque, dormivo.

*****

Al Boston Brook c'è la limousine di Perkins pronta a caricarmi e portarmi direttamente all'inferno. Detesto le piccole città, mi mancano il caos e la frenesia delle strade ingorgate dal traffico e le imprecazioni dei tassisti. Ma che posso farci se ho uno stronzo come nonno? Uno stronzo, ricattatore e accentratore del cazzo.

«Signor Perkins, ben arrivato!» l'autista, e braccio destro di mio nonno, appuntato alla limousine, mi saluta: lavora per lui da sempre, è uno di famiglia, nonché uno dei suoi più cari amici. Conosce ogni sfaccettatura di quell'uomo.

«Dylan per favore, dalla mia faccia capisci già che non è serata e non lo sarà, sicuramente, per un buon periodo» ribatto seccato.

Dylan mi risponde con tutta calma, è sempre stato una persona molto posata dal carattere pacato e, c'è da aggiungere una piccola annotazione, è sempre riuscito a calmarmi. Nei miei periodi NO, ha sempre trovato le parole giuste, quelle che frenavano i miei malesseri e, soprattutto, i miei gesti dettati dall'ira.

«So benissimo cosa stia provando, Logan. Mi permetta solo di dirle una cosa: suo nonno non lascia nulla al caso, se ha richiesto la sua presenza significa che ha un valido motivo.» Mi fido.

Mi fido più di lui che del vecchio, senza ombra di dubbio.

«Forza Dylan, portami a Villa Perkins. Ho come il presentimento che la cena di questa sera sarà tutt'altro che romantica!»

Monto in auto, mi accendo una sigaretta e ragiono: "forse mi serviva una vacanza".

La limousine si ferma davanti a un enorme cancello bianco che Dylan apre col suo smartphone. Il vialetto d'ingresso sembra infinito ma, finalmente, arriviamo a destinazione e che dire? Questa villa di due piani, dalle linee semplici e forme minimali è una bomba a mano. Vetrate su vetrate e persino una mega piscina riscaldata in giardino. Insomma, il mio attico a New York, in confronto, sembra una capanna.

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