58 LOGAN.

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A volte, nella vita, arriva un momento in cui tutto si fa chiaro, nitido, quasi abbagliante.

Non importa quanto cerchi di negarlo o di scappare, il destino ti mette davanti un ostacolo impossibile da ignorare, quasi fosse un palo conficcato in mezzo alla strada, costringendoti a fermarti e guardare in faccia la realtà.

Questo è esattamente ciò che è successo a me, stanotte, quando l'ho vista con un altro.

È stato come se, in quell'istante, tutto dentro di me si fosse ribaltato: il cervello ha ceduto il controllo al cuore, e il mio corpo è diventato un unico, gigantesco tamburo.

Sentivo i battiti ovunque. 

Nelle mani, lungo le braccia, sotto la pelle.

Ero solo battiti.

Maledizione!

Mi ero promesso di reprimere i sentimenti che provo per lei.

Il piano era semplice: chiudere la questione con i russi, aspettare il ritorno di mio nonno, e riportare il culo a New York. Mi sarei lasciato tutto quanto alle spalle, compresa lei.

Ero sicuro di farcela. Ho sempre seguito le mie regole, come un soldato che segue il suo codice, quindi perché stavolta non avrebbe dovuto funzionare?

Ha sempre funzionato.

Purtroppo c'è una cosa che ho sottovalutato, il dettaglio più importante di tutti: l'intensità devastante delle emozioni che mi provoca Liv.

È lei l'eccezione, la variabile impazzita che manda in frantumi ogni mio principio.

Ecco perché, adesso, mi ritrovo a sfrecciare come un pazzo lungo la statale che porta in città. Il piede schiacciato sull'acceleratore, il motore che urla e il tachimetro che sfiora il rosso.

Non ho alcuna intenzione di rallentare, non voglio pensare: devo solo raggiungerla, dirle tutto ciò che ho tenuto dentro, fare tutto quello che ho avuto troppa paura di fare fino a ora.

«Logan, se continua così, non arriveremo vivi al prossimo incrocio!» mi urla Johnson. È la prima volta, da quando lavora per me, che siede sul sedile del passeggero.

Ma non posso fermarmi. Non posso più permettermi di avere paura.

«Ho perso anche troppo tempo!» rispondendo a denti stretti, sentendo la tensione che mi serra la mascella.

Attorno a noi la notte è un mare nero e denso, la pioggia scende incessante, tamburellando contro il parabrezza e rendendo la strada una striscia lucida e infida, dove ogni curva potrebbe rappresentare un pericolo.

«Rallenti, cazzo!» grida Emanuel, la voce incrinata da una nota di puro panico.

Sento la sua agitazione, la percepisco, e alla fine cedo, decelerando gradualmente. La lancetta del contachilometri scende, restando appena sotto il limite massimo consentito. Una parte di me vorrebbe continuare a correre, senza badare a nulla.

«Ho perso troppo tempo, Emanuel», ripeto, stavolta usando il suo nome di battesimo.

Non l'ho mai chiamato così, non sono il tipo che si permette certe confidenze, ma stanotte sento il bisogno di aggrapparmi a qualsiasi cosa. Johnson è tutto ciò che ho in questo momento, perché Matt è di turno in ospedale. E anche se non lo fosse, non potrei mai svegliarlo nel cuore della notte solo per scaricargli addosso tutta la mia confusione.

«Questa è una stronzata, e lei lo sa meglio di me!» ribatte con un sospiro esasperato, appoggiando la testa al sedile e chiudendo gli occhi per un istante, con la speranza che il buio possa cancellare la tensione.

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