Prologue

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Non riuscivo a riconosce il posto in cui mi trovavo, tanto meno ricordavo come ci ero arrivata. Sapevo solo che c'era freddo, buio, e che l'odore pungente della muffa appestava l'aria, rendendola pesante e soffocante.

Doveva trattarsi di una cantina, o forse una cella. Non era la prima volta che capitava, nella mia vita avevo visto prigioni di ogni tipo, da quelle predestinate ai criminali meno pericolosi a quelle predisposte alla tortura, conoscevo bene il mondo putrido e schifoso che si celava nei sotterrami di maestosi palazzi. Quella stanzetta non troppo grande e arieggiata vi somigliava abbastanza.

Sentivo le pietre del pavimento sotto i piedi nudi, bagnate e coperte di una sostanza viscosa e appiccicosa a cui preferii non dare un nome ed un'identità. Sentivo i conati stringermi lo stomaco al solo pensiero.

Una folata di vento mi fece rabbrividire, il suono sordo di una porta che si chiudeva risuonò per la stanza, mentre mi stringevo nelle spalle in cerca di un po' di calore; odiavo il freddo.

«Allora è tutto pronto?»

Era una voce dolce e gentile, che mi carezzò le orecchie e distrasse i miei pensieri dal freddo e dalla puzza, sempre più intensa ed insopportabile.

Era buio, ma l'improvvisa comparsa di una candela illuminò appena la stanza, quanto bastasse per farmi distinguere due ombre proiettate sul muro poco distante da me. Erano confuse, non potevo distinguerne né tratti né volti, l'unica cosa che potevo dire con certezza è che la prima ad aver parlato era senz'altro una ragazza, spaventata e malinconica.

«Domani è il grande giorno.» la seconda invece era la voce di un ragazzo, sicuro e coraggioso, ma la voce roca e profonda tradiva una nota d'incertezza che non seppi spiegarmi.«Hai paura?»

Era incredibile come quella scena risultasse familiare ai miei occhi, eppure ero certa di non essere mai stata in quella stanza. Di non aver mai assistito a quella conversazione. Di non aver mai conosciuto quei due ragazzi.

«Ho paura.»

L'ombra della ragazza tremò appena. Le si avvicinò, stringendola a sé cercando di darle conforto per affrontare un qualcosa che non sapevo, ma che capivo doveva essere grave e pericoloso.

«Se non vuoi, possiamo sempre...»

«No.» si staccò, per guardarlo negli occhi.«Io... io voglio farlo, davvero, pensavo solo, cosa ci succederà dopo?» ma nemmeno il ragazzo sembrava sapere cosa rispondere.

Probabilmente non avevano ancora notato la mia presenza, e mi schiacciai ancora più contro il muro, nascosta dal buio, per evitare che scorgessero la mia presenza. Col tempo avevo imparato che non era mai bene fidarsi, e finché restavo nell'ombra potevo studiare le loro mosse senza dovermi necessariamente esporre.

Vi era qualcosa di anomalo in quella situazione, qualcosa che turbava il mio animo in modo non indifferenze, ed era il fatto che le loro emozioni, i sentimenti, tutto ciò che quelle due persone provavano mi scorrevano sulla pelle come se fossi io a provarle, le sentivo dentro, fino alle ossa, alle viscere, fino a trapanarmi dolorosamente il cuore. E tutte quelle emozioni mi spaventavano.

Sentivo la loro insicurezza e la loro paura, il desiderio di restare assieme ma allo stesso tempo la consapevolezza che presto si sarebbero separati, la decisione di sacrificare il loro futuro per un qualcosa di più grande.

Qualunque cosa dovessero fare l'avrebbero fatta senza esitare, nonostante tutto ciò che avrebbero potuto perdere, ed inconsciamente mi ritrovai ad ammirarli.

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