Capitolo 3

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Erano quasi le ventidue quando tornai a casa dal lavoro quella sera. Non cenai nemmeno e andai dritto in camera. Mi abbandonai sul letto e, con la luce spenta, ricominciai a pensare a ciò che era successo quella mattina. Il pensiero di quell'abbraccio mi fece avvampare il viso in un istante. Posai delicatamente l'avambraccio sulla fronte e chiusi piano gli occhi.

Mi rigirai nel letto e scoprii di aver dormito vestito. Guardai il display sul cellulare accanto a me ed era già passata la mezzanotte. Mi guardai allo specchio: i capelli,seppure avevo un taglio corto per comodità, avevano preso una strana piega verso l'alto solamente da un lato. Cercai di abbassare quel ciuffo ribelle e nel contempo andai in bagno. La luce però era ancora accesa e sentii dei gemiti provenire dalla stanza. Affrettai il passo e vidi mia madre curva sul water a vomitare.

«Mamma!» la richiamai in qualche modo.

Mi guardò con occhi sofferenti e ancor più spenti di come mai li avevo visti. Poi riprese a vomitare. Mi feci forza e mi avvicinai a lei. Cercai di sostenerla dalle spalle e dalla fronte. L'odore era nauseabondo, ma cercavo di tener duro. Aveva bisogno del mio sostegno e non mi sarei tirato indietro.

Perchè in un momento del genere pensavo a lui?

«Grazie...» disse fra un sospiro e l'altro mia madre, asciugandosi le labbra con il dorso della mano. «Adesso va meglio. Deve essere stata la chemio...»

Accennò un lieve sorriso, dopo si lavò le mani e il viso. Raccolsi il suo berretto di lana che era finito sul pavimento e glielo porsi. Cercai anch'io di sorriderle, più convinto questa volta.

«Domani andrà meglio, vedrai» le dissi guardandola in volto.

«Dici? Beh... staremo a vedere» accennò un lieve sorriso.

L'accompagnai a letto, riboccandole le coperte come lei aveva fatto tante volte quando ero piccolo.

«Buonanotte» le dissi, accompagnando quella frase con un bacio sulla fronte.

«Sei diverso oggi... mi piaci così.» sorrise e poco dopo si addormentò.

Uscii dalla stanza da letto, richiusi la porta e mi accasciai sul pavimento. Quando il sedere toccò il freddo pavimento, un brivido mi percorse lungo la schiena. Cercai di respirare a fondo, guardando verso l'alto.

Non pensavo di essere così fragile.

Ritornai in camera mia e, mentre mi cambiavo, il mio cellulare suonò brevemente. Controllai il display ed era Davide. Mi aveva mandato un messaggio: ti penso. Sorrisi lievemente e sentii le guance infuocarmi. 

Stupido quarantenne, chi manda ancora gli sms?

*   *   *

«Ehi, Ale!» gridò Giada dall'altro capo del corridoio. Sollevai una mano a mezz'aria per salutarla e accompagnai quel gesto con un lieve sorriso.

«Hai lezione anche tu oggi?» le chiesi non appena si fu avvicinata.

«Si, filologia romanza. Tu?»

«Oh la seguo anche io.» ammisi, cominciando a camminare verso l'aula.

«Bene...» mi sorrise calorosamente.

Giada aveva 20 anni e l'avevo conosciuta un anno prima ad un esame. Per lei era il primo ed era molto nervosa, quindi finimmo per socializzare e parlare. Lei lo superò brillantemente ed io lo superai a fatica. Era una ragazza davvero simpatica e mi trovavo molto bene con lei. Aveva lunghi capelli castani e gli occhi color nocciola. Sotto i golfini da brava ragazza che indossava solitamente, potevo intravedere le sue curve generose. La consideravo una buona amica ed una compagna di studi occasionale.

FragileWhere stories live. Discover now