Capitolo 21

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Sollevai un braccio in aria. Osservai la mia mano volteggiare leggera davanti ai miei occhi. Lentamente la posai sulla mia fronte calda. L'altra mano era abbandonata sul materasso dove ero sdraiato. Mi rigirai sul fianco e presi ad abbracciare il cuscino che usava mia madre quando dormiva. Mi rannicchiai, respirando il suo odore che stava quasi per scomparire. Gli occhi mi bruciavano per quante lacrime avevo versato al suo funerale.

La chiesa era colma di gente. In molti le volevano bene. C'era qualche mio amico e anche Giada, che mentre mi abbracciava, pianse sulla mia spalla. Anche mio padre era al funerale. Mi rivolse solo uno sguardo gelido e nient'altro. Quando la messa finì lo vidi andarsene fra la folla e sparire poco dopo. Non mi disse nulla. Non mi abbracciò. Credo che non mi considerasse più suo figlio dopotutto.

Davide mi tenne la mano per tutto il tempo. Lo guardavo di tanto in tanto, incrociandone gli occhi lucidi.

Il display del cellulare s'illuminò all'improvviso, rischiarando il buio della stanza. Strizzai gli occhi e mossi una mano per poi afferrarlo. Davide mi aveva mandato un messaggio: mi invitava a casa sua per la notte.

I miei occhi, abituatisi alla luce, si spostarono sull'orologio del cellulare. Erano quasi le diciannove. Da quanto tempo ero li sdraiato nel letto proprio non lo sapevo. Mollai il cellulare sul materasso e decisi di non rispondere al suo messaggio. Non volevo sentire nessuno. Non volevo vedere nessuno. Continuai ad abbracciare il cuscino e, senza che me ne accorgessi, scivolai in un sonno profondo.

*   *   *

La vibrazione del mio cellulare mi svegliò dal mio lungo sonno. Mi sentii confuso e spaesato. Avevo dormito vestito nel letto di mia madre. Aiutandomi con la mano, riuscii a mettermi seduto e subito afferrai il cellulare, che smise di squillare non appena fu fra le mie mani. C'erano dieci chiamate senza risposta ed erano tutte di Davide. Lessi l'ora sul display del cellulare. Era passato ormai mezzogiorno. Posai una mano sui capelli, scompigliandoli un po'. Il cellulare riprese subito a squillare e questa volta decisi di rispondere.

«Dove sei Alessandro? Stai bene?» mi chiese preoccupato Davide al telefono.

«Si.. sono a casa mia...» gli dissi ancora assonnato.

«Mi sono preoccupato tantissimo. Non mi rispondevi al telefono...» sentii dall'altra parte del telefono un profondo sospiro «Sono contento che stai bene...»

«Mi dispiace di averti fatto preoccupare» gli dissi alzandomi dal letto e dirigendomi verso il salotto.

«Hai mangiato qualcosa?»

«No.»

«Da quanto non mangi?» mi chiese sempre più ansioso.

«Da ieri sera...» mentii. L'ultimo pasto che avevo fatto non me lo ricordavo nemmeno.

«Ale, vieni da me dopo» mi disse addolcendo il suo tono.

«Scusami vado a farmi la doccia. Ci sentiamo in un altro momento» non aspettai nemmeno la sua risposta, che chiusi la chiamata.

Lanciai il cellulare sul divano e mi avviai in cucina. Aprii il frigorifero, ma era quasi vuoto. Lo richiusi poco dopo. Andai in bagno e, svestendomi, mi guardai nella grossa specchiera davanti a me. La mia immagine riflessa arrivava fino a quasi il bacino. Poggiai entrambe le mani sul lavandino e mi osservai più da vicino. Gli occhi erano ancora gonfi e rossi per le troppe lacrime versate. I capelli completamente spettinati. Un strana barba trasandata copriva parte del mio volto. Decisi di radermi e subito dopo entrai nella doccia. L'acqua calda scivolava veloce sulla mia pelle. Sentivo i muscoli sciogliersi dalla tensione accumulata. Per quanto mi sforzassi, la mia mente iniziò a rielaborare le immagini di ciò che era successo all'ospedale. Mia madre non c'era più. Non avrei più sentito la sua voce, la sua risata. Non l'avrei abbracciata più. Non avrei più potuto stare con lei. L'acqua sempre più calda, si mescolò con le mie lacrime. Poggiai la schiena al muro e singhiozzando, mi presi il volto con entrambe le mani.

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