Capitolo 10

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Fissai la pagina bianca dello schermo del computer. Il programma di scrittura era ormai aperto da quasi mezz'ora, ma ancora non avevo scritto nulla. Nelle cuffie risuonava la mia musica preferita. "Nothing" dei Depeche Mode. Bella pensai, ma la pagina ancora era vuota. Dinanzi a me sparpagliai gli appunti che avevo raccolto nelle settimane precedenti, consultando testi specifici che mi servivano per poter scrivere la tesi. Eppure questa pagina bianca proprio non riuscii a riempirla. Mi presi il volto fra le mani e sospirai più volte. All'improvviso sentii che le cuffie si staccavano dalle mie orecchie. Mi voltai ed incontrai il volto di Davide alle mie spalle. Si infilò le cuffie e sorrise ascoltando le note della canzone che conosceva bene.

«Bella... per fortuna abbiamo gusti musicali uguali» mi disse, riconsegnandomi le cuffie.

Stoppai la canzone e posai le cuffie sugli appunti sparsi qua e là sulla scrivania.

«Già...» risposi al commento di Davide.

Mi aveva fatto un doppione della chiave d'ingresso, quindi potevo andare e venire dal suo appartamento.

Lo seguii in camera da letto. Aveva posato i suoi pantaloni chiari e la sua camicia azzurra di cotone sul letto ed era rimasto in canottiera.

«Ho preparato la cena» annunciai a Davide, mentre ancora si cambiava.

Passò una settimana dall'incidente con mio padre, che non avevo più visto da quella volta. La guancia era ormai guarita.

Davide mi sorrise e si infilò una maglia grigia e un pantalone nero corto. Mi venne incontro e mi baciò brevemente sulle labbra. Non lo lasciai andare via subito. Lo stuzzicai un po', baciandolo a mia volta. Gli misi entrambe le braccia al collo e lo tenni stretto a me in quel bacio carico di passione. Lui rispose, cingendomi la vita con le mani e baciandomi a sua volta. La mia schiena incontrò presto il freddo muro. Feci scivolare una mano sulla guancia di Davide, in una carezza che quasi sembrava volessi trattenerlo e non farlo più andare via. Sentii il mio viso andare in fiamme e sentivo pulsare ogni parte del mio corpo che Davide mi toccava. Smise di baciarmi le labbra e scese nell'incavo del collo.

«Come farò la settimana prossima senza te...» disse Davide all'improvviso, mentre ancora mi baciava il collo.

«Come?» gli dissi subito, perplesso.

Risalì lungo la mia gola ed incontrò ancora le mie labbra in un bacio ancor più passionale. La mia mano si posò sulla sua spalla e con decisione lo spinsi via da me.

«Cos'hai detto?» gli chiesi ancora.

Lui si passò la lingua fra le labbra, dopo guardandomi, sospirò.

«Devo andare a Firenze. C'è un convegno l'8 agosto a cui non posso mancare. Mi mancheranno i tuoi baci...» disse, mentre riprendeva a baciarmi le labbra.

«Quanti giorni starai via?» gli chiesi spingendolo ancora una volta via da me.

«Quasi tre giorni» disse, facendo un passo indietro «parto il 7 e tornerò il 9 agosto.»

«Ah...» fui solo capace di dire.

Tre giorni senza vedere Davide. In quel momento mi sembrarono un'eternità. Era il suo lavoro e non potevo farci nulla.

Quando ero diventato così dipendente da lui?

Abbassai il mio sguardo solo qualche attimo, per poi incrociarlo di nuovo con quello serio di Davide.

«Mangiamo?» gli chiesi con un sorriso forzato «Ho preparato un po' di pasta...»

Mi stavo avviando verso la cucina, ma il mio incedere fu interrotto dalla presa salda di Davide sul mio braccio. Lo guardai immediatamente e per qualche secondo nessuno dei due disse nulla.

«Vieni con me» disse lui, ancora mantenendo la presa sul mio braccio.

«Cosa?» replicai a mia volta, stupito dalla sua proposta.

«Vieni con me a Firenze. Dopo il convegno saremo liberi di stare insieme...»

«Non posso...» dissi subito abbassando lo sguardo.

«Perchè?» mi chiese, posizionandosi di fronte a me.

«Mia madre... non posso lasciarla sola. Poi devo scrivere la tesi... e il lavoro. Non posso proprio...»

Ero giù di morale e lui se ne accorse immediatamente. Mi abbracciò forte, tanto da sentire il suo cuore pulsare contro il mio.

«Mi mancherai» disse in un sussurro all'orecchio.

*   *   *

Tornai a casa quella sera. Non appena a casa salutai mia madre, che era seduta sul divano, intenta a guardare la tv. Si meravigliò vedendomi rientrare.

«Pensavo rimanessi dalla tua ragazza anche stanotte» mi disse abbassando il volume della televisione.

Rimasi spiazzato da quella frase, tanto da non riuscire più a dire niente. Posai le chiavi della macchina sul tavolinetto dinanzi al divano e mi sedetti accanto a lei.

«Quale ragazza?» mi decisi a chiederle.

Lei mi guardò perplessa, quindi spense del tutto la tv e, posando il telecomando accanto alle chiavi dell'auto, poggiò completamente la schiena sul morbido cuscino dietro di lei.

«Passi molte notti fuori di casa, ti vedo più sorridente e più calmo. Pensavo che avessi una fidanzata»

«Ah...» dissi soltanto. Distolsi lo sguardo dal volto di mia madre e, sporgendomi in avanti, unii le miei mani, posando le braccia sulle ginocchia.

«Mi sbaglio?»

Inspirai a fondo e poi espirai tutta l'aria accumulata. Mi misi in posizione eretta e, voltandomi verso mia madre, la guardai negli occhi.

«Non ti sbagli. Solo che...» m'interruppi subito. Non sapevo come avrebbe reagito a quella confessione che stavo per fargli.

«Solo che?» m'incalzò lei.

Mi morsi un labbro ed abbassai lo sguardo nervosamente. Posai una mano sul ginocchio, sfregandolo in avanti e indietro. Potei leggere negli occhi di mia madre tutta la confusione che io stesso le stavo creando con la mia indecisione.

«S-solo che... non si tratta di una ragazza.» le dissi, incespicando con le parole.

Mia madre rimase a guardarmi in silenzio. Le sue labbra rimasero dischiuse, ma non emisero nessun suono. Il silenziò calò all'improvviso nella stanza, ma fui io a romperlo per primo.

«E' un uomo.» le dissi, sostenendo il suo sguardo «Ho una relazione con un uomo...»

Mia madre sbattè le palpebre un paio di volte, poi distolse lo sguardo, alternandolo fra tutti gli oggetti che la circondavano. Il mio respiro si fece più irregolare e il cuore, che martellava il mio petto, rischiava di esplodere. Non dissi più nulla ed aspettai che fosse lei a parlare.

«Con un uomo?» mi chiese ancora lei, non guardandomi in viso.

«Si» le confermai.

«Sei felice?» mi chiese, guardandomi questa volta.

Arrossii all'improvviso a quella domanda. Davide era diventato tutto per me. Era la mia felicità, la mia tristezza. Mi aveva fatto scoprire l'amore e cosa vuol dire essere amati.

«Si...» le dissi, annuendo.

Lei sorrise dolcemente e mi accarezzò una mano.

«Allora va bene così.» mi disse poco dopo, continuando a sorridere.

Mi accarezzò il capo e mi baciò sulla fronte. Restammo abbracciati per qualche minuto.

«Ti va davvero bene?» le chiesi in un sussurro.

«Se quest'uomo ti rende felice, sorridente e più sereno, vuol dire che è questo che stavi cercando. Non ti vedevo sorridere da tanto tempo Ale e mi stavo seriamente preoccupando per te. Io voglio che tu sia felice, che tu viva la tua vita.»

Le sorrisi e l'abbracciai ancora più forte. Che donna meravigliosa era. Possibile che il mondo non se ne accorgeva?

E ancora una volta una domanda, che non mi facevo da tanto tempo, tornò a galla dal mio subconscio.

Perché a lei?

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