Capitolo 23

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Mi richiusi la porta alle spalle e rimasi immobile ed in silenzio, poggiando la schiena sulla porta e tenendo la maniglia con entrambe le mani. Avevo lo sguardo basso. Mi sentivo così vuoto. Vivere non aveva più senso. Avevo perso tutto ed ero stato io a non riuscire a salvare nulla.

Mossi qualche passo incerto verso le scale. Le gambe mi tremavano e le ginocchia stavano quasi per cedere. Infilai la tracolla e la posizionai sulla spalla. Sentivo crescere dentro il mio cuore un enorme senso di solitudine. Mi fermai per un attimo. Mi voltai verso la porta. In cuor mio aspettavo che lui uscisse e mi fermasse. Mi dicesse di non andare via. Di restare con lui. Non successe. Mi voltai verso le scale e continuai a scendere, fino ad arrivare al di fuori del portone. L'aria fredda della sera mi fece rabbrividire. Sistemai meglio la sciarpa rossa che avevo al collo e mi avviai verso la macchina.Mi misi al volante. Avevo la vista annebbiata dalle lacrime che scendevano e non volevano fermarsi. Con una mano, cercai di asciugarmi le lacrime per poter vedere meglio la strada. Riuscii ad arrivare a casa mia. Salii in fretta le scale e facendo scattare la serratura, entrai in casa. Dopo aver richiuso la porta, vi ci poggiai la schiena, scivolando lentamente e sedendomi poi sul pavimento. Posai il volto fra le ginocchia, stringendole poi al petto.

«Davide...» sussurrai il suo nome a denti stretti, mentre ancora qualche lacrima continuava a rigarmi la guancia. Avevo il cuore a pezzi. Lo amavo. Lo amavo davvero, ma non riuscivo a perdonarlo per non aver fatto nulla per mia madre.

Sospirai più volte e mi asciugai gli occhi con la manica del giubbotto. Mi rialzai e, quasi barcollando, mi avviai verso il salotto. Il mio piede destro, però andò a sbattere contro un qualcosa di pesante, che mi fece perdere l'equilibrio, facendomi sbattere la spalla contro lo stipite della porta. Subito guardai contro cosa avevo sbattuto e notai la borsa blu scuro che mia madre aveva usato nella sua degenza in ospedale. Avevo dimenticato di metterla via. L'avevo voluta lasciare così come l'aveva lasciata lei. Accesi la luce e notai un piccolo foglietto bianco fuoriuscire da una delle tasche interne. Lo afferrai e, spiegandolo completamente, ne lessi il contenuto.

Caro Alessandro,
se stai leggendo questa lettera, vuol dire che la malattia ha vinto ed io non ce l'ho fatta. Mi dispiace non esserti vicino, mi dispiace non poterti abbracciare, ma sappi che, fintanto che mi ricorderai, rimarrò viva nel tuo cuore.

Sto scrivendo questa lettera in questa fredda stanza di ospedale. Davide è appena andato via. Mi ha parlato con così tanto amore di te, che mi sento sollevata lasciandoti nelle sue mani. Non mi è mai capitato di vedere un amore come il vostro, così puro e sincero. Amalo Alessandro e lasciati amare.

Sei una persona straordinariamente capace, anche se un po' testarda a volte. Sii forte e vivi la tua vita. Vivi Alessandro.

Ti voglio bene.

Mamma

Le mie mani iniziarono a tremare, mentre rileggevo ancora e ancora le ultime parole di mia madre che aveva scritto per me.

Vivi Alessandro.

Continuai a ripetere nella mia testa quella frase, quasi ossessivamente. Mi alzai dal pavimento, sul quale ero inginocchiato e, con le ginocchia tremanti, camminai fino al salotto. Posai la lettera sul tavolo.

Non posso mantenere questa promessa.

Pensai, mentre mi diressi in bagno. Aprii il cassetto del mobile bianco al di sotto del lavello, cercando confusamente tutte le medicine che mia madre teneva proprio lì. Presi più scatole di pillole che riuscii a tenere nelle mani e, tornato nel salotto, le appoggiai sul tavolo, coprendo completamente la lettera. Afferrai la bottiglia dell'acqua e l'aprii. Buttai via il tappo con violenza e iniziai a mandar giù le pillole che avevo sparse dinanzi a me. Non mi resi nemmeno conto di che cosa stavo ingerendo. Non me ne importava. Volevo solo che quella sofferenza sparisse. Volevo solo che la mia esistenza svanisse. Avevo perso mia madre. Avevo perso Davide. Non riuscii a sopportare di vivere ancora a quel modo. Una ad una ingerivo le pillole. Una dietro l'altra. Non avvertivo nulla ancora. Nessun dolore. Volevo che passasse tutto in un attimo. Ma anche quelle medicine mi stavano tradendo non facendo il compito che avevo assegnato loro. Le mie mani non tremavano più. Ero deciso a porre fine alla mia vita. Aprii un'altra scatola di pillole e continuai ad ingerirle senza controllo. Mi si annebbiò per un attimo la vista, mentre continuavo a mandar giù le pillole. Lessi ancora una volta la lettera di mia madre. Ogni parola contenuta in quel foglio ormai la sapevo a memoria. Erano passati più di dieci minuti, ma ancora non avvertivo nessun effetto. Le gambe ripresero a tremare, quando provai ad alzarmi. Cercai una penna e un foglio. Li trovai subito nel cassetto del mobile nel salotto. Mi appoggiai al tavolo. La testa prese a girarmi vorticosamente. Iniziai a scrivere.

Davide,

ti ho amato davvero e ti amerò anche dopo la morte. Mi dispiace di averti detto quelle cose terribili e mi dispiace di essere arrivato a togliermi la vita, ma così non potevo continuare.

Sai Davide, la verità è che io sono fragile. Non sono mai stato forte. La mia forza eri tu, ma ora che ti ho perso per colpa delle mie stupide parole, non ha più senso vivere.

Ti amo

A

Non riuscii a terminare la lettera. Avvertii un dolore lancinante allo stomaco che mi fece piegare in due. Caddi dalla sedia e mi sdraiai sul pavimento. Sentii dei forti tremori corrermi lungo il corpo. Facevo fatica a respirare e, nonostante puntellai le mani sul freddo pavimento, non riuscii ad alzarmi. Mi rannicchiai sul pavimento dolorante. All'improvviso il campanello iniziò a suonare freneticamente.

«Alessandro! Apri la porta!»

Davide mi chiamava dall'altra parte della porta, ma io non riuscii a rispondere. Presi a tossire rumorosamente e vomitai violentemente. Faticavo sempre più a respirare. Cercai di trascinarmi verso la porta. Avrei voluto vedere Davide un'ultima volta prima di morire. Avrei voluto che mi stringesse a lui. Iniziai a piangere disperato e la paura di non poterlo più rivedere mi diede la forza di mettermi in qualche modo in piedi. Barcollai verso la porta e, tendendo la mano, afferrai la maniglia della porta, rigirandola. Mi sentii svenire e caddi all'indietro. Sentii un dolore lancinante alla schiena e alla testa. Dovevo aver sbattuto per terra.

«Alessandro...» sentii la voce di Davide che mi chiamava.

Aprii lentamente gli occhi e vidi il suo volto preoccupato e sconvolto davanti al mio. Sentii che componeva un numero sul cellulare. L'ambulanza, pensai. Non ebbi più la forza di guardarlo. Lentamente chiusi gli occhi, ringraziando il cielo di averlo potuto vedere un'ultima volta. Non sentii più nulla. Nessun rumore, nemmeno la voce di Davide.

Buio.

* * *

Aprii lentamente gli occhi. Una forte luce mi accecò. Richiusi gli occhi, per poi riaprirli ancora. Guardai dapprima davanti a me, poi girai il viso a destra e poi a sinistra. Riuscii a distinguere un soffitto bianco ed appesa una luce neon bianca. Cercai di sollevare un braccio, ma lo sentivo così pensante da non riuscire nemmeno a muoverlo. Sentii una mano sulla fronte. Era piacevolmente fresca. Si spostò, poi, dalla fronte alla guancia, accarezzandomela. Sbattei lentamente le palpebre e riuscii a focalizzare il volto di chi mi stava in piedi accanto. Davide mi guardava e sorrideva. Il suo volto si avvicinò al mio, baciandomi la fronte. La mia vista si offuscò e qualcosa bagnò le mie guance. Davide asciugò le mie lacrime con il pollice, mentre ancora mi accarezzava la guancia. Mi sentii rassicurato dal suo tocco, tanto da scivolare in un sonno profondo.

* * *

Pochi giorni dopo, mi rimisi completamente. Preparai la mia borsa e mi affrettai ad uscire dall'ospedale. Mi sentii ancora debole, quindi procedetti lentamente verso l'uscita dell'ospedale. La luce del sole m'illuminò non appena misi piede fuori dalla porta automatica. Mi coprii gli occhi, mentre osservavo il cielo azzurro, libero dalle nuvole. Abbassai lo sguardo ed incrociai quello di Davide che mi aspettava seduto sul cofano della sua macchina. Mi sorrise dolcemente, sollevando una mano a mezz'aria, per salutarmi. Mi aveva riportato alla vita e solo con lui avrei voluto vivere.

Lo raggiunsi e posai la borsa per terra. Nessuno dei due disse nulla, ma fu subito chiaro ciò che provavamo l'uno per l'altro. Gli presi una mano nella mia e lo tirai a me. Lo baciai davanti a tutti, alla luce del sole. Perchè amarlo non era un errore.

Amare non è mai un errore.

Fine

FragileWhere stories live. Discover now