Capitolo 8

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Girato su un fianco, puntellai il gomito sul cuscino. Poggiai la guancia sulla mano aperta. L'altra mano, invece, la sollevai a mezz'aria, per poi farla ricadere dolcemente sui capelli neri di Davide, che dormiva accanto a me. Li accarezzai piano, attento a non svegliarlo. Poi scesi sulla sua guancia e sulla sua spalla nuda. Mi sporsi verso di lui e baciai la sua mano abbandonata sul materasso. Lo trovavo affascinante e mentre dormiva assumeva una posa così innocente e dolce, da non dimostrare l'età che aveva. La nostra differenza d'età era un abisso. Erano quasi 15 anni. Era un'intera vita. Avevo paura che, da un momento all'altro, si rendesse conto che io ero solo un ragazzino e che potesse in qualche modo stancarsi di me.

Appoggiai la mano sulla sua e gliela strinsi piano. Intanto ripensai a quei tre mesi trascorsi assieme a lui. Mia madre continuò a fare la chemio e Davide continuò a seguirla. Il suo smagliante sorriso aveva conquistato anche lei.

«Mi piace questo dottore, ha un nonsocchè di rassicurante...» mi confessò una volta, dopo essere usciti dal suo studio.

«Dici? Piace anche a me»le confessai sorridendole.

Davide in quel momento aprì gli occhi svogliatamente e subito incrociai il suo sguardo. Mi sorrise e ricambiò la stretta alla mano.

«Buongiorno...» mi disse con una voce assonnata e profonda.

Gli sorrisi a mia volta e ricambiai il suo saluto con un breve bacio sulle labbra.

«Sei sveglio da molto?»

Facendo forza sulle braccia, si mise seduto sul letto. Con una mano riavviò un ciuffo di capelli neri indietro, dopo continuò a guardarmi. A coprirci c'era solo un lenzuolo. Era pieno luglio, ma Davide, che non sopportava il caldo, aveva acceso l'aria condizionata mettendola davvero al minimo.

«No. Mi sono svegliato poco fa» mentii, ma dirgli che mi piaceva guardarlo dormire era fin troppo imbarazzante.

Dormii spesso da Davide, quando non aveva il turno di notte oppure quando io non avevo esami o dovevo lavorare, ero sempre a casa sua.

In quei mesi superai tutti gli esami. Me ne rimase solo uno che avrei dato a settembre e dopo finalmente la tesi.

Davide mi accarezzò la guancia dolcemente, poi si abbassò su di me e mi baciò. Potevo sentire tutta la passione che ci stava mettendo in quel bacio. Scostò con violenza il lenzuolo ed il mio volto avvampò all'istante, nello scoprirmi completamente nudo.

«Davide...» sussurrai il suo nome piano.

Continuò a baciarmi, nel mentre le sue mani esploravano il mio corpo. Cominciai a sudare, ma l'aria condizionata accesa, con il suo continuo soffiare vento fresco, mi provocava dei brividi di piacere.

«Ah...»

Un gemito fuoriuscì dalla mia bocca dischiusa. Davide mi baciò il collo e poi scese lungo la spalla. Rabbrividii ancora e socchiudendo gli occhi, mi abbandonai al piacere che Davide mi stava donando.

* * *

Tornai a casa in macchina. Davide ricominciava a lavorare prima di pranzo, così lo lasciai, a malincuore, andare al lavoro.
Pensai a quanta passione metteva nel suo lavoro e desiderai, in quel momento, di voler diventare come lui. Avrei voluto anch'io trovare un'occupazione a cui appassionarmi così tanto. Dovetti ammettere di non averci mai pensato prima, non con molta serietà almeno. Davide, però, mi fece riflettere sul serio su ciò che volevo fare. Lui mi rese più calmo e concentrato sui miei obiettivi. Mi aiutava anche con gli esami, soprattutto il grande scoglio che ho dovuto superare, cioè l'esame di latino.

Mi fermai ad un incrocio per il semaforo rosso. Attraversarono sulle strisce pedonali una coppia di fidanzati. Un ragazzo ed una ragazza. Avranno più o meno avuto la mia età. Si tenevano per mano, mentre passeggiavano l'uno accanto all'altra. All'improvviso lei rise di gusto e lui, staccando la sua mano da quella di lei, l'abbracciò con un braccio all'altezza delle spalle. Rimasi a guardarli fino a che non scomparvero dietro l'angolo del palazzo. Sospirai ed abbassai per un attimo lo sguardo. Poi la macchina dietro di me suonò il clacson. Il semaforo diventò verde ed io ero lì impalato senza muovermi. Ripartii immediatamente e ripensai a quei due ragazzi. Ne invidiai la spontaneità, la semplicità con cui si tenevano per mano. Nessuno li guardava, nessuno li offendeva, era una cosa del tutto naturale.

Se avessi tenuto la mano di Davide sicuramente qualcuno ci avrebbe guardati. Successe di essere offesi quando eravamo usciti per fare una passeggiata al centro commerciale. Ci chiamarono anormali, ma in fondo cos'è la normalità? Non è forse normale essere innamorati di una persona e volerle tenere la mano? Ridere e scherzare insieme, non è forse questa la normalità fra due amanti? Non mi pentii delle scelte che avevo fatto. Non mi pentii di essermi innamorato di Davide.

Innamorato.

* * *

Dopo aver parcheggiato la macchina al solito posto, mi avviai verso casa. Dopo aver salito due rampe di scale, aprii la porta di casa.

«Ciao mamma!» annunciai in quel modo il mio arrivo.

Mi avviai verso il soggiorno, sorridente. I miei occhi sgranarono per ciò che vidi davanti a me.
Mio padre era seduto comodamente sul nostro divano. Persi del tutto il mio sorriso.

«Ciao Alessandro» mi salutó lui, serio in volto come sempre.

In quel momento giunse mia madre, con un piccolo vassoio e una tazzina di caffè che poggiò sul tavolinetto dinanzi mio padre.

«Alessandro...»

Il suo volto divenne serio come quello di mio padre, mentre alternava lo sguardo tra me e quell'uomo.

«Che ci fa lui qui?» domandai seccamente rivolgendomi a mia madre.

Lei dischiuse le labbra, pronta per poter parlare, ma le parole le furono rubate da mio padre, che intervenne subito.

«Sono venuto a trovarvi.»

Si sporse in avanti ed afferrò la tazzina davanti a sé. Continuò a guardarmi con i suoi occhi verdi gelidi, che purtroppo avevo ereditato. Per lui valevo meno di zero e non faceva nulla per nasconderlo.

«Perchè?» chiesi, rimanendo in piedi davanti a lui.

Impietrito, continuai ad osservarlo. I capelli di un castano scurissimo, si erano macchiati sui lati d'argento. Indossava un completo scuro ed una cravatta rosso scuro ben annodata al collo. Finito di bere il caffè, la tazzina ritornò al suo posto sul tavolinetto. Mia madre si decise a sedersi su di una delle sedie, vicino al divano. Io invece rimasi lì dov'ero, pronto a scattare se ce ne fosse bisogno.

«Ho saputo che tua madre stava male e sono venuto a farle visita. Perchè non ti siedi?» mi chiese, indicando con la mano la sedia di fronte a lui.

«L'hai vista. Puoi anche andare ora!» esclamai arrabbiato.

«Sei sempre il solito, Alessandro. Tratti tutti con freddezza...»

«No, tratto con freddezza le persone che disprezzo.»

Lui, di tutta risposta, rise e scosse la testa. Quindi poggiò un braccio su di un bracciolo del divano e continuò a parlarmi.

«Disprezzo... addirittura! Io ti ho dato la vita...»

«Ma dopo te ne sei fregato di quella vita che mi hai donato! Avevo 5 anni quando sei sparito, dopo non ho saputo più nulla di te. Ci hai abbandonato per un'altra donna!»

«Alessandro...» mi richiamò mia madre, preoccupata per ciò che stava succedendo.

«Adesso ti presenti qui, con questa faccia tosta, pensando di poterla guarire se le fai visita... o meglio!» dissi guardandolo con sempre più odio. «Per lavarti la coscienza!»

Lui scattò in piedi a quelle mie parole. A grandi falcate venne verso di me e mi afferrò la maglietta all'altezza del collo. Non arretrai di un passo. Avevo il suo viso talmente vicino da poterne sentire il fiato. I suoi occhi rabbiosi s'incollarono ai miei ed io non distolsi lo sguardo. Lo sfidai e lui accettò con tutta la rabbia che aveva.

FragileWhere stories live. Discover now