Time's Up

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La tensione era alle stelle in quel momento. Il vociare chiassoso delle due folle sui due fronti gli metteva dentro un'agitazione così violenta da sentirsi male. Per quel motivo si appoggiò contro il muro, alla ricerca di aria. Si piegò leggermente, poggiando le mani sulle ginocchia, cercando un filo d'aria pulita per potersi riprendere, ma senza alcun risultato. Era troppo ansioso, non ce l'avrebbe fatta.

Per qualche assurda ragione, stare lì senza il suo Joris e senza Arleen era faticoso. Aveva bisogno del loro supporto morale, del loro supporto fisico. Ma uno era ancora scomodamente sdraiato in un letto d'ospedale e l'altra da qualche parte a rimettere in riga sia il gruppo delle cheerleader che il proprio ragazzo; e lui aveva bisogno almeno un minimo di conforto. Quella partita era importante, c'erano persone fra il pubblico di un certo spessore che avrebbero potuto offrirgli una borsa di studio e cambiare per sempre la sua vita, non poteva permettersi di sbagliare.

Una mano sulla spalla però lo distrasse da quella sorta di incubo, riportandolo alla realtà. Guardò in faccia la sua distrazione e quasi non pianse di gioia nel vederlo lì, a confortarlo con quegli occhi nonostante tutto. Ryan, con la sua chioma leonina ed un mezzo sorriso, si fece avanti fino a passargli una mano sulla spalla in segno di pace. In fondo, quella partita era importante per tutti quanti, e un po' di supporto morale fra compagni di squadra era giusto. E Barry lo guardò con ammirazione, quasi come se fosse un miraggio, ringraziandolo con la forza dello sguardo di aver compiuto un tale gesto anche di fronte a tutte le stronzate che gli aveva fatto. Gli era grato e gli voleva un bene così forte da aprirgli il cuore.

"Andrà tutto bene, Barry" gli fece un occhiolino e lo invitò a tirarsi su per potersi dare una sistemata sia fisica che mentale. Ryan era certo che stesse male per tutto ciò che aveva fatto e che non fosse davvero paura di affrontare quella partita, era a conoscenza del suo stesso valore, non si sarebbe mai lasciato sminuire da quei pensieri negativi. "Grazie Ryan, di tutto" sibilò e in quel momento qualcosa parve tornare a raddrizzarsi. Si guardarono in faccia entrambi, cercando di trovare l'uno nello sguardo dell'altro il perdono e la forza di perdonare, entrambi alla ricerca di un piccolo dettaglio che potesse rimettere tutto a posto senza fare troppe tragedie, senza distruggere ciò che il tempo aveva costruito.

E fu Ryan a fare il primo passo, sorridendo per davvero, mettendo da parte ogni rancore, mettendo da parte ogni parola scagliata contro di lui, ogni imprecazione e l'odio cieco che per un paio di giorni l'aveva tenuto a debita distanza o addirittura portandolo a fargli male sul campo. Il tutto in favore della lealtà, dell'amicizia, di quei sentimenti positivi che con lui aveva provato e condiviso. "Ho sbagliato anche io con te, sono stato troppo duro. Al cuore non si comanda e adesso lo so bene. Mi dispiace, so che ci hai provato sul serio, che non mi hai preso in giro, so cosa abbiamo provato entrambi per un po' e non lo dimenticherò. Scusa Barry se sono stato così schifosamente cattivo, mi sono sentito ferito, ma ho capito" abbassò lo sguardo verso terra sentendo il proprio cuore frantumarsi, l'ultimo briciolo di dignità svanire nel nulla, le lacrime pungere. No, non era affatto vero quello che aveva detto, non aveva capito sul serio, non l'aveva perdonato del tutto come avrebbe dovuto ma aveva pronunciato comunque quelle parole per un bene superiore. L'aveva fatto per Barry, per sé stesso, per quella partita e per il loro futuro. L'aveva fatto per non intralciare il loro stesso cammino e per evitare che situazioni scomode li mettessero in difficoltà. Ryan aveva avuto bisogno di perdonarlo e perdonarsi, era certo di aver fatto la cosa migliore nonostante il cuore avesse preso a sanguinare pericolosamente ai suoi piedi, come segno indelebile del dolore che nessuno gli avrebbe più sradicato, probabilmente nemmeno quando avrebbe amato di nuovo.

Barry respirò in quel momento e la tensione abbandonò il proprio corpo, capendo realmente quale fosse il problema. I sensi di colpa e la paura di fare del male alle persone l'avevano tenuto imprigionato in quella gabbia dalle sbarre dorate, ma che nascondevano dentro solo l'inferno. Ed era felice di aver sentito uscire quelle parole dalle sue labbra, felice di aver avuto la possibilità di ripartire da zero, di smetterla in maniera definitiva di giocare con le persone e persino con sé stesso. "Dio... che imbecille che sono. Sei una persona stupenda, Ryan" chiuse gli occhi ed ingoiò quel grosso groppo in gola, sentendo persino le budella annodate sciogliersi e lasciar il posto all'adrenalina, alla consapevolezza di farcela e di prendersi tutto ciò che gli spettava. "Ci vediamo in campo" fu l'ultima cosa che gli disse, prima di svanire verso il corridoio e chiudersi, con tutta probabilità, dentro agli spogliatoi.

The Perfect StormWhere stories live. Discover now