C.34. Addio Chino Hills?✅

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I veri addii scattano nella mente,
sono silenziosi. Sono i più veri, i
più pericolosi. Sono quelli che tieni
per te. E puoi anche continuare a
sentirla una persona. Non ti avrà
più se l'hai salutata dentro.
-Massimo Bisotti

Ci fu un attimo di silenzio in cui Cameron non fece altro che passare lo sguardo da Nash a me con aria ferita.

Io non resistetti e scoppiai a ridere. Mi staccai dal mio migliore amico, mi avvicinai a lui e gli lasciai un bacio a stampo sulla guancia. Mi guardò ancora più confuso di prima, sopratutto quando Nash si avvicinò e lo abbracciò.

«Mi spiace Cam, non sapevo di voi due.» si scusò.

Lui gli lanciò ancora un'occhiata diffidente così dovetti intervenire io.

«È una lunga storia, forse è meglio che voi due parliate un po' da soli. Nel frattempo io vado a preparare qualcosa da mangiare, che ne dite?» proposi.

I due annuirono e si sedettero sul divano a parlare. Mentre andavo in cucina non potei fare a meno di sorridere. Finalmente era tornato tutto alla normalità, tutto si era sistemato e io potevo preoccuparmi solo di vivere in pace il resto della mia estate.

Ma si sa, le cose migliori sono quelle che durano di meno.

In quel momento il mio cellulare vibrò, così me lo sfilai dalla tasca dei jeans. Era un messaggio.

11:45 da Zio Albert: Si può sapere dove sei finita? Il tuo turno è iniziato quasi due ore fa!

Merda.

Con tutto quello che era successo quella mattina mi ero completamente dimenticata di andare a lavoro. Corsi in salotto a prendere la borsa e pensai di andare a salutare i ragazzi, ma non volevo disturbarli. Così presi un bigliettino e scrissi che sarei tornata quel pomeriggio tardi. Uscii di casa di corsa e arrivai al fast food il più infetta possibile. Non appena mi vide entrare, mio zio mi fece cenno di seguirlo nel suo ufficio.

Merda.

Questa parola riassumeva perfettamente il mio umore, quel giorno. Entrammo nella piccola stanza dietro al reparto friggiture e mi sedetti davanti alla grande scrivania di mogano dietro alla quale si trovava zio Albert. Mi guardò con uno sguardo misto fra il comprensivo e il severo e io non sapevo cosa pensare.

«Cassie, cosa ti sta succedendo?» domandò scuotendo la testa.

Io abbassai lo sguardo. Odiavo quando mi facevano questo tipo di domande, cosa diamine avrei dovuto rispondere? Mi limitai a stare in silenzio e lui sospirò.

«Questa è la decima volta che arrivi in ritardo. Per non parlare di tutti i giorni di ferie che ti sei presa...»

Io sentii gli occhi gonfiarsi e riempirsi di lacrime. Odiavo quando le persone mi parlavano così, come se fossero... deluse. Io sono sempre stata abituata ad essere la figlia perfetta, quella responsabile e attenta, quindi potevo capire lo stupore di mio zio. Lo sentii sorridere leggermente.

«Non ti sto sgridando, Cassie. Posso capirti. Insomma, hai diciotto anni, mi sembra giusto che tu voglia divertirti e tutto il resto. Il problema è che io non ho nessuno a sostituiti e non posso permettermi altri impiegati.»

Deglutii in modo abbastanza rumoroso e lui si tolse gli occhiali, passandosi una mano sulle tempie.

«Mi dispiace, ma sono costretto a licenziarti.»

Chiusi gli occhi per evitare che le lacrime uscissero. Questo era il primo lavoro della mia vita e io ero riuscita a farmi licenziare dopo quanto... un mese? Mi passai velocemente il palmo della mano sulle guance e annuii.

Quello che non ti ho detto di noiWhere stories live. Discover now