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Non basta l'età a fare grande una persona. È la sua intelligenza a distinguerlo da coloro che sono più piccoli.

Daniel

Quella volta non potei fare finta di nulla. Le mie orecchie captarono per la quarta volta parole che, nonostante non avessi voluto, mi obbligarono a non continuare a fingere di non aver sentito.
In fondo, piú che dare inizio ad un insanabile litigio, volevo sapere chi fosse il ragazzo che osasse provocarmi in maniera così persistente, quasi fosse diventato il suo unico passatempo in una vita troppo avvilente.

Roteando gli occhi e stringendo le mani in pugni, mi voltai pensando di vedere, davanti a me, un ragazzo mio coetaneo, o piuttosto più grande. Nella mia superficialitá di pensiero avevo dato per scontato che il mio inrerlocutore fosse anche maggiorenne. Per aver riversato contro la mia persona insulti cosí pesanti speravo per lui avesse la piena responsabilitá di ció che la sua bocca avesse pronunziato. E invece non era stato cosí. Il mio accusatore era un terzino. Era vero, era un pluribocciato; ció implicava che fosse addirittura più grande di me di un anno, avendo ripetuto due anni del liceo. Ma mentalmente, rimaneva pur sempre più piccolo di me, non avendo ancora affrontato il mio anno scolastico.
Non basta l'età a fare grande una persona. È la sua intelligenza a distinguerlo da coloro che sono più piccoli.

Non conoscevo il suo nome, ma il suo volto mi era familiare. Analizzando i suoi lineamenti capii che fosse un frequentante dell'aula accanto alla mia, la 3^ B. Sempre in giro durante l'intervallo e non, avevo avuto modo di incontrare il suo sguardo parecchie volte, senza mai arrivare ad analizzare la sua persona; i suoi passi si allontanavano sempre cosí spediti da rendere impossibile una profonda ispezione del suo volto.

Paratosi di fronte a me, i guardava mantenendo una debita distanza, forse per paura di essere contagiato dal mio essere ció che lui discriminava fin troppo.
Serio e con le braccia conserte, stringeva in saldi pugni le mani, mentre scrutava la mia persona dall'alto al basso con gli occhi minuti, circondati da evidenti occhiaie.

"Stai dicendo a me?" domandai dopo un prolungato silenzio per assicurarmi che fossi io, il frocio a cui avesse intenzione di parlare.
"Sì. E chi altro è frocio come te, qua?" azzardó, indicandomi col mento, acuminato.

"Mmh... fammici pensare" dissi, appoggiando il dito indice sul mento.
"Il mio ragazzo, forse?" dissi.
"Bravo! Sapete cosa siete?".
"Froci?" lo precedetti.
"Esatto!" rispose, soddisfatto  schioccando le dita.
"Va bene. Grazie della lezione" risposi, alzando la mano fino a quel momento stretta a pugno. Dopodiché tentai inutilmente di congedarmi, sorvolando sulla conversazione che per me poteva essersi conclusa. L'ora di educazione motoria stava per cominciare.

"Io adesso dovrei entrare. Ti dispiace?" domandai, indicando la mia aula alle mie spalle.
"Va bene, frocetto. Ma nel prossimo intervallo ne riparliamo. D'accordo?" proseguí senza rendersi conto della banalitá del susseguirsi iterato delle sue irrisioni.
"Certamente, non possiamo di sicuro terminare la conversazione così" dissi, alzando una mano in segno di saluto. Poi entrai in classe senza proferire parola, raggiungendo Melissa giá seduta al suo banco in attesa che la professoressa arrivasse, in perenne ritardo.

"Dove sei stato?" mi domandò, incuriosita, sporgendosi verso di me che, di passo svelto, avevo raggiunto la mia postazione alla sua destra.
"A vedere chi fosse colui che si divertiva a chiamarmi con mille appellativi riferiti al mio orientamento sessuale" risposi, evitando di citare esplicitamente questi ultimi.
"Ah. Ma quindi alla fine hai capito chi è?".
"Sì, l'ho incontrato due secondi fa qua fuori" dissi facendo spallucce.
"E cosa ti ha detto?" domandò stravaccandosi sul banco ed appoggiando la testa contro un avambraccio. I suoi occhi mi scrutavano battendo le palpebre ad una velocitá impressionante. Le sue ciglia, sovrastate da una corona di finte setole corvine, si sollevavano e si abbassavano rapidamente, incorniciando i suoi occhi castani.
"Niente, Mel. Stronzate. Mi ha chiesto chi sia più frocio di me e...". Venni interrotto.
"Adesso lo hai detto" mi riprese lei, accennando un sorriso
"Va beh, mi è sfuggito dalla bocca" risposi, gesticolando con una mano che roteó attorno al polso.
"E tu?".
"Io cosa?" finsi di non aver capito cosa mi avesse domandato.
"Tu cos'hai risposto?".
"Il mio ragazzo". Melissa rise.
"Grande". La guardai coprirsi le labbra carnose con una mano una volta compreso che non fossi dell'umore per unirmi alla sua risata.
"E poi?".
"Poi nulla. Sono entrato in classe. Mi hai visto, no?".
"Ed è finita così?" domandò stupita, tirandosi su dalla posizione insolita in cui si era messa ad ascoltarmi.
"No, mi ha detto che continuiamo il discorso nel secondo intervallo".
"E tu ci andrai?".
"A fare cosa?".
"A parlargli".
"No, Melissa. Se lui ha qualcosa da dirmi che non gli va a genio, ben venga. Ma io, io sono a posto con la coscienza. Io non devo cercarlo, io non ho nulla da dirgli. In fondo è stato lui a cercarmi prima, mica io. No?".
Vidi la mia amica riflettere.
"Mmh... sì, hai ragione" disse poi, ondeggiando il capo. Feci spallucce spostando lo sguardo verso l'uscio della porta, oramai occupato dalla slanciata figura della Palletta, docente di educazione fisica di nome e di fatto sin dal primo giorno di superiori.

Non ti lascerò dormire da solo Where stories live. Discover now