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Daniel

21 ottobre

Sempre composto e attento al conseguire una condotta civile, mi resi conto di quanto tutto il mio impegno posto nel non mancare di rispetto andó scemando man mano che gli implori di Melissa proseguivano nel chiedermi di smettere di prendere a pugni quel ragazzo. Le mie orecchie, che non parevano aver minimamente udito la sua voce, sembravano sentire solamente i gemiti della vittima della mia aggressione che, serrati gli occhi ed aggrottata la fronte, cercava invano di sottrarsi al mio peso sul suo corpo, giacente a terra.
Man mano che i secondi passavano, non mi rendevo conto di a cosa stessi andando incontro. Ogni atto di violenza in aggiunta sarebbe equivalso ad un giorno di sospensione in piú. Ma in quel preciso istante, non fu assolutamente il mio pensiero, volto invece alla causa della mia reazione del tutto fuori luogo.
Avevo retto senza alcun problema le sue parole provocatorie, almeno fino a quando la sua bocca, poco pulita, aveva pronunziato il nome di Andrea. A quel punto, fu impossibile per me trattenere l'ira che tenevo dentro da troppo tempo.
Non sapevo nemmeno io, possessore di questa collera, che essa stesse nascondendosi dentro di me, ma soprattutto che prima o poi sarebbe venuta fuori facendomi esplodere da un momento all'altro.

'Cosa... cosa ho fatto'. Scuotendo il capo, cercai invano di cancellare le mie azioni, indelebili.
"Daniel, perché?". Una voce vicina parló.
'Chi sei?' domandai voltandomi verso di essa.
"Sono sempre io".
'Io chi?'.
"Tu sai chi sono". La voce pareva aver affievolito il tono.
'Sei... sei sempre tu. Sei quello del puzzle, quello delle nuvole, quello...'.
"Sì, sono io".
'Cosa ci fai qui?'.
"Sono qui per proteggerti" annunció, forse senza tener conto di quanto peso avessero le sue parole.
'Come? Ma non puoi'.
"Perché no?".
'Tu... sei fra le nuvole'.
"Lo so".
'E come puoi, allora, tentare di aiutarmi?'.
"Non chiedermi come possa farlo" rispose.
"Dimmi, piuttosto " riprese a parlare.
'Che cosa?'.
"Perché ha reagito così?".
'Io... non lo so'.
"Cosa senti?" cambió discorso.
'Frustrazione, odio, rabbia'. La voce rise. La sua risata, contagiosa, mi rammentó qualcuno, anche se non seppi chi.
"Tu non provi odio verso qualcuno".
'Sí... solo odio'.
"No. Tu hai paura?".
'P... paura?' balbettai.
"Vedi? Hai paura anche solo di pronunciare questa parola".
'Io non ho... paura'.
"Come no?".
'No'.
"Hai paura che la causa della tua reazione possa non essere piú il frutto del tuo coraggio".
'C... cosa? Non capisco'.

"E comunque, come si dice, c'è sempre una prima volta, no? Si trova in un angolo nascosto del piano terra, la sala è munita di qualsiasi cosa: appena esci di lì, il bagno è subito alla sinistra, mentre le macchinette sono addirittura al suo interno. E non sono macchinette qualsiasi, come le nostre. Ce n'è solo una per il caffè, ma ha tremila tasti, circa duemilanovecentonosessanta in più dei nostri soliti. Alla fine da coi cosa c'è, da bere? O prendi un tè, o il latte... o alla fine la scelta ricade sempre sul caffè. Espresso, macchiato, corto, lungo... sempre caffè è. E poi... poi non capisco il motivo per cui ci debbano essere gli stessi tipi di caffè ripetuti due volte sulla macchinetta. L'unica cosa che cambia è la marca. Ad esempio puoi prendere il cappuccino fatto col Lavazza o Borbone. Ma che senso ha? Il suo, invece ha anche dei tasti per il succo, per il latte al cioccolato... sai, me l'immagino proprio la preside, coi bigodini bianchi in testa, a bere una tazza, magari quelle con le pecorelle, di latte al cioccolato" dissi, scoppiando a ridere.

"Va beh. Non è questo di cui volevo parlare in realtà. Ah, a proposito! La preside... siamo abituati a vederla passeggiare per i vari piani, poi precipitarsi dentro le aule per verificare quali siano le condizioni in ogni classe, scatenando una reazione a molla negli allievi che sono obbligati ad alzarsi di scatto dalla comoda posizione in cui, stavaccati sul banco, fino a quel momento avevano cercato invano di ascoltare la lezione del professore. In quel momento, quello in cui la preside fa il suo ingresso in classe, lì allora è il caso di prestare sincera attenzione" dissi a bassa voce, quasi a voler zittire le mie parole per evitare che qualcuno di interessato potesse udirle.

Non ti lascerò dormire da solo Donde viven las historias. Descúbrelo ahora