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Nuvole Bianche, Einaudi

Daniel

24 ottobre

Per l'ennesima volta, il mio orario era giunto: quattro meno cinque del pomeriggio. Era il momento che, a partire dall'ora immediatamente  successiva ad essa, attendevo con piú ansia sin dal giorno prima, ed era anche quello che arrivava più presto di quanto credessi nel momento in cui, inevitabilmente, ogni volta giungesse al termine facendomi pensare a quanto fossero lungue ventitré ore. In realtà non era affatto cosí. Quel lasso temporale pari a una banale trentina di minuti perveniva lestamente e, in maniera equipollente, si abbandonava alle mie spalle, cacciandomi fuori dalle mure ospedaliere fino al dì successivo.

Ogni volta percorrevo la stessa, medesima strada pensando e sperando che la situazione non andasse peggiorando ma che, piano piano, Andrea potesse stare meglio.
N

on mi rendevo conto che fosse solo una contingenza chimerica. Ne ero consapevole, ma cercavo di convincere la mia mente che qualcosa sarebbe cambiato in positivo. Facevo ancora troppa confusione fra sperare e credere e finivo per sopprimere i pensieri col solo scuotere del capo.

Le parole di Marco riguardo alle sue condizioni erano state abbastanza riduttive, due parole messe in croce senza alcuna spiegazione per lui sarebbero state bastevoli a soddisfare le mie richieste. Ma nonostante le limitate esplicazioni, ero certo che non mi stesse mentendo; mi fidavo di lui e quando mi aveva annunciato che Andrea stesse bene, mi sentivo più sereno di quanto non fossi stato fino a quel momento, in cui non mi ero mai posto il problema di far chiarezza.

Sapere che lo stato in cui giacesse non fosse aggravato come avevo creduto era stato un sollievo.
Ma allora quale valore avrei dovuto attribuire alle parole pronunciate dai genitori di Andrea mentre, nascosto da occhi indiscreti, avevo cercato di origliare?
Surrealità. Incredulità. Sconvolgenza.
Erano questi, i termini utilizzati dai genitori di Andrea.

"A chi devo dare retta?" mi domandavo mentre, apprestandomi a scendere dal pullman, occupavo la mia mente con pensieri contorti.
Dovevo fidarmi davvero di ciò che mi diceva Marco? Forse mi aveva risposto che stesse bene per farmi andare via in un momento nel quale non dovessi trovarmi lì. Forse non voleva che io rimanessi assieme a loro mentre, chiacchierando apertamente con i genitori di Andrea, raccontava loro la verità dei fatti lontano dalle mie orecchie.
Forse dovevo dare ascolto alle parole declamate per sbaglio, quelle udite origliando alla porta. Quelle non potevano essere parole programmate, erano per forza state sentenziate senza pensare al fatto che ci potesse essere qualcuno al di là della porta.

Per l'ennesima volta mi ritrovai a scrutare l'ospedale nella sua immensitá. L'osservai per qualche istante, percorrendo la sua altezza di venti piani con lo sguardo attento, la bocca socchiusa. Poi lasciai che questo si spostasse orizzontalmente e analizzasse le finestre da cui, da ognuna, pareva sporgersi qualcuno, forse alla ricerca di un po' d'aria fresca proveniente da fuori, certamente meno satura di quella interna.

Molta gente si apprestava ad uscire dall'edificio a quell'ora, terminando il proprio turno lavorativo. S'inserivano rapidamente fra gli spazi lasciati dalle porte girevoli, dimenticandosi poi che avrebbero dovuto attendere con pazienza che queste terminassero di completare il loro giro, permettendo loro l'uscita. Di passo svelto, timbravano il cartellino, passandolo in un macchinario che, a contatto con la tessera, emetteva un segnale acustico.
Poi, correndo come se fossero in ritardo per cominciare il turno, invece appena conclusosi, si precipitavano all'uscita del cancello esterno, passando accanto alla mia persona e allontanandosi sempre più alle mie spalle. Frenesia allo stato puro.

Non ti lascerò dormire da solo حيث تعيش القصص. اكتشف الآن